«Angherie del potere pubblico»: liquida così, il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, le scelte compiute dagli amministratori, dai sindaci, in generale dai politici che di qui in avanti dovranno tradurre il Pnrr in gare d’appalto. Il vertice del “sindacato” dei giudici affronta il tema che nelle prossime ore sarà al centro del dibattito sulla giustizia: l’addio all’abuso d’ufficio.

La norma che sopprime il reato è nel ddl Nordio, sul quale (come riferito in altro servizio, ndr) riprende oggi l’esame del Senato. Secondo Santalucia abolire l’abuso d’ufficio è un errore perché «non è seriamente comprensibile come possa restare indifferente al sistema penale l’abuso dei pubblici poteri». Quelle condotte (che pure producono un’irrisoria quantità di condanne) costituiscono, per il vertice dell’Anm, «una palese violazione dei diritti dei cittadini nei loro rapporti con l’autorità pubblica».

In pratica, al di là delle obiezioni tecniche e dei suggerimenti che Santalucia offre come alternativa al’abrogazione, riappare lo schema per cui la politica è un sistema del quale la società deve tendenzialmente diffidare, e che solo la magistratura può tenere a bada. Ed è proprio qui la delegittimazione che negli ultimi trent’anni, a partire da Mani polite, ha prima diviso l’elettorato in due curve, pro e contro Berlusconi, e poi ha sedimentato una sfiducia verso le istituzioni sfociata nell’antipolitica, fino a svuotare quasi la rappresentanza democratica.

È chiaro che la logica della magistratura come unico affidabile censore e garante della legalità riappare man mano che va avanti l’iter del Pnrr. E fanno forse ancora più riflettere le parole affidate ieri sempre a Repubblica da un’altra figura chiave come il presidente dell’Anticorruzione Giuseppe Busia. Il quale a propria volta indica quale «vero antidoto alla paura della firma» non l’abrogazione dell’abuso d’ufficio ma «i controlli preventivi a carattere collaborativo» che già ora vengono attivati «su richiesta delle stesse amministrazioni per gli appalti più rilevanti». Certo, aggiunge Busia, il problema è la «scarsezza di mezzi» delle «stazioni appaltanti», cioè sempre i Comuni e gli altri enti pubblici, che non sempre sarebbero in grado di produrre bandi chiari, efficaci e soprattutto a prova di sospetto.

Tra Santalucia e Busia viene fuori un quadro drammatico, il ritratto di una politica che è tendenzialmente poco affidabile o è messa cosi male da doversi far scrivere i bandi d’appalto dall’Anac. Uno schema da sovranità limitata terrificante. Se la maggioranza vi si rassegnasse, affosserebbe la divisione tra poteri in un protettorato giudizial-burocratico da terrore robespierriano.

Ieri tra l’altro Italia Viva, con la coordinatrice nazionale Raffaella Paita, ha risposto per prima a Santalucia, ha ribadito che l’abuso d’ufficio va abrogato e che dunque i renziani sosterranno Nordio. Ma qui è il vero nodo della questione: davvero Giorgia Meloni ha voglia di ribellarsi al solito schema della politica assoggettata a toghe e authority? Farlo, in vista del Pnrr – con l’abolizione dell’abuso d’ufficio ma non solo – significa prepararsi a uno scontro anche intenso con la magistratura, intenzionata dal canto suo a non cedere la propria funzione di supplenza democratica e a rivendicare la supremazia tra i poteri. Tutto sta a capire se la premier ha voglia di inoltrarsi nel conflitto con le toghe o se invece, pur di non rischiare, cercherà un improbabile compromesso, che finirebbe, nella migliore delle ipotesi, per dimezzare il Pnrr.