Al Teatro San Ferdinando di Napoli, fino al 4 febbraio, in scena Desideri Mortali Oratorio profano per Giuseppe Tomasi di Lampedusa”, spettacolo scritto e diretto da Ruggero Cappuccio e interpretato da Claudio Di Palma, Ciro Damiano, Gea Martire, Marina Sorrenti, Nadia Baldi, Antonella Ippolito, Ilenia Maccarrone, Rossella Pugliese, Simona Fredella, Martina Carpino, Piera Russo, accompagnati al piano da Luca Urciuolo e da Luca Scorziello alle percussioni. Le scene sono di Nicola Rubertelli, i costumi di Carlo Poggioli, le musiche di Marco Betta, Luca Urciuolo e Luca Scorziello; il disegno luci e aiuto regia Nadia Baldi, assistente alle scene Fabio Marroncellifoto di scena Marco Ghidelli. La produzione è del Teatro Stabile di Napoli-Teatro Nazionale.  Ci troviamo subito immersi nella visionarietà poetica di Tomasi di Lampedusa e nella rievocazione delle due lingue, napoletano e siciliano, per rappresentare lo splendore del Regno delle due Sicilie ma anche la sua incapacità di mantenere quel ruolo, dibattendosi nei desideri insaziabili e onirici, anche dopo la morte, dei protagonisti che affollano la scena. Un alternarsi di vicende, un incitamento a risollevarsi attraverso i suoni, i sogni, i desideri oltre la vita dei fantasmi che abitano l’oratorio profano. Nove donne diafane e tutte vestite di bianco in scena, alcune un po’ marionette altre più intrise di energia: serve, cameriere, prostitute, principesse, contesse, figlie, spose, madri e amanti di Fabrizio e Tancredi, interpretate dallo stesso attore. Ciascuna rievoca il proprio ardente passato ma anche UN pulsante e sotterraneo desiderio di morte: sentimenti contrastanti che non lasciano tregua nell’oratorio profano. In questo compiaciuto alternarsi delle specificità e delle singole storie personali, spiccano le protagoniste capeggiate da una brillante Gea Martire. Anime in pena o spiriti che rievocano il vissuto dei tempi lontani del palazzo di Fabrizio, Principe di Salina (protagonista del Gattopardo), interpretato dal bravo Claudio Di Palma nell’elegante vestito di bianco, e che si dibatte, come detto, nel doppio ruolo anche di Tancredi, che di Fabrizio è nipote. Così come Padre Pirrone, ecclesiastico di corte, interpretato dal convincente Ciro Damiano, è l’unico in abito nero, che riveste anche il ruolo di un altro prete, Don Calogero, nemico del Principe. Una recitazione convulsa e contrastante, che passa dal dolore alla risata, dalla lingua napoletana a quella siciliana.  La drammaturgia di Ruggero Cappuccio provoca sempre grandi attese, ma questa riscrittura e la stessa messa in scena lasciano perplessi e spaesati, producono anche, chissà quanto consapevolmente, una sensazione di spaesamento all’interno della quale si prova uno straniante sentimento di vuoto. Colpisce la frammentarietà delle diverse parti, la ridondanza dei monologhi, dei dialoghi d’amore, degli intermezzi ironici sulla base di filastrocche e vagheggiamenti. Quasi che lo spettacolo fatichi a trovare la giusta dimensione per restituire appieno la rievocazione del mondo poetico di Tomasi di Lampedusa, pilastro delle intenzioni del regista che ne è anche l’autore. Belli i costumi di Carlo Poggioli, così come le scenografie di Nicola Rubertelli, e anche molto belle le musiche di Marco Betta, Luca Urciuolo e Gianluca Scorziello.