Gabriele Muccino fai sempre più fatica a riconoscerlo. Molti di noi avevano provato a trovare qualche barlume del passato e di una seconda era americana disastrosa in Padri e figlie, con Russell Crowe. Un buon film, troppo classico, a tutelare una lenta risalita. Ma qualcosa si è spezzato in quell'occhio lucido e post-ideologico, capace di intercettare l'inquietudine di una generazione di mezzo e messa in mezzo. La sincerità ? non di rado scambiata per qualunquismo ? dei primi film come l'ambizione de La ricerca della felicità sono scomparse. Lasciando spazio a un adulto che ritiene necessario fare ciò che di peggio si possa volere con il cinema: pedagogia. L'estate addosso, a Venezia 73 nella suggestiva sezione "Cinema in giardino", è un teen movie post maturità, è un'improbabile accozzaglia di luoghi comuni anacronistici e di "gggiovani" improbabili dal Mamiani siamo passati a Chateaubriand (o a un qualche altro liceo internazionale romano) ? tutto contestualizzato in un immaginario che non esiste se non nella mente del cineasta, che mischia quello erotico dei film con Banfi e Montagnani, la scoperta dell'America dei Vanzina (anzi, lì si era un passo avanti) e una visione paternalista e borghesissima dei 18enni di oggi. Se Notte prima degli esami catturava perché restituiva un tempo e un'atmosfera, L'estate addosso respinge perché racconta qualcosa che non sapremmo ritrovare in questo paese e forse da nessuna parte. I due giovanissimi protagonisti, Matilda Lutz e Brando Pacitto, lei già intravista ne L'ultima ruota del carro di Veronesi e lui in Braccialetti rossi, sono ingabbiati nella parte dello sfigato che sboccerà e della bigotta che diventerà bellissima e aperta. Senza un reale motivo, se non un po' di alcol e svolte di sceneggiatura macchinose. Scoprono l'America e il mondo in una San Francisco in cui gli etero sembrano banditi, accampandosi nella casa di due omosessuali amici di un amico.La voce off molto Roma Nord, le situazioni emotive e le scene da romanzo di formazione televisivo, la scrittura dei personaggi molto mediocre rendono tutto profondamente poco credibile ed emozionante fin dall'inizio. La vitalità, l'esplosione del sé, i sentimenti potenti e leggeri di quell'età non li senti, se non in pochi momenti di sincerità ? affidati soprattutto a Pacitto? in cui esce fuori l'anima più da commedia del film. E sono spiragli, forse figli dell'improvvisazione, che ci fanno intravedere il Muccino che abbiamo conosciuto, non l'attuale regista che sembra aver smarrito la sua poetica e anche la più elementare grammatica cinematografica. Lui che teneva in pugno ritmi e personaggi, che sapeva giocare con lo spettatore e con se stesso, che alzava i toni del dramma per poi spostarsi su una finta spensieratezza, ora sembra scrivere qualcosa che considera "giusto", "pedagogico", ma che non è cinema. Ha in testa non delle immagini, ma il desiderio di un paese, anzi due, e di una Settima Arte forse mai realmente esistiti. "In Italia tocchiamo con mano il pessimismo verso il futuro, i giovani non lo vedono più. E questo ci differenzia dagli Usa. Chi non crede nel futuro abolisce di fatto l'ottimismo. Bisognerebbe tornare al 1945, quando l'Italia aveva tutte le città distrutte, ma che poi ha ricostruito con coraggio" ha dichiarato alla stampa, confermando che in questi anni è meglio ascoltarlo che guardarlo, Muccino senior. La splendida energia nella foto che fa il giro di vari siti, in cui i protagonisti saltano e ridono con lui che allegro se li gode, è la cosa più bella de L'estate addosso. Ma quello spirito riesce a darlo (poco) nel finale, annegato in una visione edulcorata dalla "morale" cinesociologica di cui impregna il film, quasi più invadente della canzone di Lorenzo Cherubini omonima. "È un film sull'amore, la vita e la crescita dal mio punto di vista. Avevo voglia di raccontare con leggerezza queste cose in un film in cui non c'è nulla di veramente superficiale" dice il cineasta, che quest'opera l'ha diretta e scritta, ma la verità che anche nella storia della coppia gay non riesce a uscire da stereotipi politicamente corretti, tenendoli su un piedistallo patinato, inserito in un'America vista con l'occhio di chi la mitizza, in positivo e negativo, ma che non sembra esistere nella realtà. Un American graffiti a tinte pastello e banalizzato sull'altare di ciò che non esiste più e forse mai è esistito. Sentiamo nostalgia del Muccino capace di rompere gli schemi, mostrandoli nella loro banalità appunto, anzi ci fa paura ora che sembra esserne schiavo.