Sessant’anni fa Anna Magnani, subito dopo aver vinto l’Oscar per La rosa tatuata di Daniel Mann, il film in cui era co-protagonista con Burt Lancaster, si affermava come star internazionale. Una star non convenzionale, diversa dai modelli affermatisi sino a quel momento. Non era né una maggiorata né una belloccia. Eppure, quel suo volto disperato e vitale, ironico e sofferente, arcitaliano e mediterraneo, ebbe d’un colpo l’onore delle copertine e delle prime pagine di riviste patinate e dei giornali di tutto il mondo. E per ricordare “quel” 1956 la Film Society del Lincoln Center di New York, in collaborazione con l’Istituto Luce-Cinecittà, sta dedicando all’attrice una retrospettiva,  “La Magnani”, iniziata nella Grande Mela e che sta ora proseguendo in altre città americane: Chicago, Detroit, Berkeley, Los Angeles, San Francisco, Houston, Columbus, Festival di Toronto, Cambridge. Nell’occasione vengono proiettati ventiquattro film firmati Rossellini, De Sica, Visconti, Fellini, Renoir, Cukor, Lumet, Dieterle, materiale che proviene dagli archivi di Luce Cinecittà, da Tempo massimo di Mattoli, fino a Roma di Fellini, passando per lo strano episodio cinematografico Vulcano del 1949 del tedesco Dieterle oltre alle proiezioni di La rosa tatuata, Selvaggio è il vento di Cukor e Pelle di serpente di Lumet. Tutte grandi pellicole che fecero conquistare alla Magnani importantissimi riconoscimenti a livello internazionale, dall’Oscar alla Stella nella Walk of Fame di Hollywood.Fellini, che l’aveva conosciuta nell’immediato secondo dopoguerra, la descriveva così: «Arrivava avvolta in scialli disordinati, con gli occhi luminosi e furenti, seguita da una piccola truppa d’animali, di cui s’era eletta regnante. Aggressiva, sospettosa. Subito pronta a litigare». Eppure straordinariamente generosa, sempre pronta a capire gli altri, anche soltanto con un’occhiata. Come quando, mentre a Cinecittà girava con Visconti Bellissima, il film che verrà considerato l’apoteosi del neorealismo, vede un giovane siciliano in fila che spera di guadagnare qualcosa facendo la comparsa, Nando Terranova, e Anna non riesce a trattenersi: «A Luchi’, vedi de fa’ lavorà’ ’sto bel ragazzo che c’ha bisogno…». Alle sue perentorie richieste non ci si poteva sottrarre, quel giovane finì per interpretare un militare che passa accanto alla panchina su cui si dispera Maddalena Cecconi, la mamma umiliata e offesa interpretata magistralmente dalla Magnani nel film del 1951. D’altra parte, un giorno del 1947 un ragazzo d’origine toscana s’era presentato al regista Luigi Zampa sul set del film L’onorevole Angelina per mostrare un suo rotolo di disegni. Proprio in quel momento la Magnani stava litigando col regista per un giovane attore che non la convinceva nella parte del fidanzato ricco e perbene della figlia della protagonista. «Vedi quello là», disse indicando a Zampa il ragazzo, che si chiamava Franco Zeffirelli. «Quello c’ha una faccetta pulita, perbenino, du’ occhietti vispi…». E così, grazie ad Anna, il futuro regista entrò a far parte del cast di quel film e anche a introdursi nel mondo del cinema…La compagnia degli animali da un lato, quella della notte dall’altro, furono le costanti esistenziali di questa donna romana nata nel 1908, senza un padre all’anagrafe e cresciuta in una casa di via San Teodoro, insieme alla nonna e a cinque zie: Dora, Maria, Rina, Olga e Italia. Subito dopo aver preso la patente cominciò ogni sera a vagabondare in auto per rincasare a notte fonda, spostandosi tra i locali aperti fino alle ore piccole. Anna, già affermatasi come Nannarella nell’avanspettacolo, diventerà la donna di Massimo Serato, un giovane e bellissimo attore che lei amava di un amore disperato, ricambiato da continui tradimenti. E dal quale avrà il suo unico figlio, Luca, disgraziatamente colpito dalla poliomelite.Tragedie personali e sofferenze che contribuiranno a rafforzare e rendere sempre più credibile la sua tragicità cinematografica. «Io da anni - spiegherà la Magnani - urlavo quasi: ma è possibile che non si possa fare un film su una donna qualunque, che non sia bella, non sia giovane. Perché non un film su una donna della strada che non sia diva, falsa? Quando vennero a leggermi il copione di Roma città aperta, ci siamo, pensai, questo è meraviglioso…». Con quel film il personaggio Magnani si affermava: «Bruna e non bella, ma con gli occhi di una divorante, fonda, febbrile vivezza, lucenti sopra le occhiaie peste, di tra le ciocche dei capelli eternamente arruffati e spioventi. Essa era l’emblema - scriverà il critico Giulio Cesare Castello - del buonsenso e della aggressività, dei corrosivi, motteggianti umori e dei palpiti emotivi della gente di Roma».Resterà nell’immaginario quella scena clou con Anna Magnani falciata da una raffica di mitra mentre una camionetta carica di deportati si allontana. E quel set si era anche trasformato, improvvisamente, nel palcoscenico della storia d’amore tra Anna e il regista, Roberto Rossellini, che con quel film aveva creato il neorealismo. La Magnani in quei giorni era disperata per la malattia del figlio. Lo aveva mandato in Svizzera per curarsi, ma le speranze che potesse tornare a camminare erano poche. Come sempre, si sentiva sola di fronte a questa tragedia. Massimo, il papà del ragazzo, se ne fregava, e Roberto, che era già separato dalla sua prima moglie, prese il suo posto per qualche anno. Ma anche questa unione si rivelò subito tempestosa, sino al grande scandalo che nel 1949 diventa una vicenda internazionale per la storia tra il regista italiano e l’attrice svedese Ingrid Bergman. Erano giorni, tanto per dire, in cui a Roma una mano anonima scrisse su un muro: «Aridatece er puzzone». E proprio in quel 1949 la Magnani, riferendosi a Rossellini parlava di «quer puzzone de Robberto…». Tutto era iniziato quando la Bergman, folgorata dai film di Rossellini, gli scrive dicendo che vorrebbe recitare con lui. Il cineasta, stava progettando un nuovo film ambientato alle Eolie, con la Magnani, con la quale lui stava vivendo gli ultimi tempi di una relazione appassionata e burrascosa.Lusingato dalla lettera, avvia in gran segreto le trattative con l’attrice svedese, non immaginando che di lì a poco esploderà un’attrazione tanto travolgente da far scoppiare un grande scandalo nell’Italia democristiana e nell’America ancora molto puritana, oltre a un vero e proprio caso politico che approderà fino al Senato Usa. E quando Anna scopre di essere stata tradita - come artista e come donna - medita la sua vendetta: il film alle Eolie si farà lo stesso, con o senza Rossellini. Così, negli stessi mesi, su due isole vicine, Stromboli e Vulcano, due diverse troupe realizzano due film praticamente identici, in un clima reso infuocato dai pettegolezzi. Le due isole diventarono, da quel momento, il cuore di una battaglia a tutto campo. Del resto, quando Anna, che stava a Londra, aveva visto su un quotidiano la notizia dell’arrivo della Bergman in Italia e la foto di lei e di Roberto sulla scaletta dell’aereo mancò poco che svenisse. Si sentì improvvisamente di nuovo sola.«La solitudine - ha ricostruito Marcello Sorgi, che alla vicenda ha dedicato un libro:  Le amanti del Vulcano. Bergman, Magnani, Rossellini: un triangolo di passioni nell’Italia del dopoguerra  (Rizzoli, 2010) - non le era mai pesata molto, si sentiva in fondo un essere poco adatto alla convivenza e bisognoso di spazi da non condividere con nessuno. Ai tradimenti era in qualche modo abituata: la sua guardia felina, l’eterna sensazione di sospetto e le sue minacciose e temute reazioni non erano mai riuscite a impedirli. Ma era l’abbandono quello che sopra ogni cosa le pesava, riportandola al disagio infantile e al senso di vuoto che l’affetto della nonna non era mai riuscito a colmare». Ma tra il 1955 e il 1959 arriva il trionfo internazionale a Hollywood, con grandi film come La rosa tatuata, Selvaggio è il vento accanto a Antony Quinn e Tony Franciosa, con il quale avrà una relazione, e Pelle di serpente, in cui avrà come co-protagonista Marlon Brando. Oltretutto, il primo e il terzo film americano erano tratti da due opere di Tennesse Williams, il grande drammaturgo che voleva portarla sulla scena anche a Broadway.Anna Magnani, comunque, tornerà a lavorare in Italia, fino alla sua scomparsa prematura nel 1973. Ma più che dal lavoro sarà presa da suo figlio, dai suoi animali, dagli amici fedeli che radunava nella sua villa al Circeo, dalle nottate fino all’alba, dagli incontri conviviali nella sua casa romana di Palazzo Altieri, presso Largo Argentina. Tra gli habituès delle sue case, Elsa de’ Giorgi e Antonio Saccà, Fabrizio Sarazani e Alberto Sordi, Suso Cecchi D’Amico e Indro Montanelli, Sergio Amidei e Claudia Cardinale, Masolino D’Amico e Benedetta Craveri. «Vedo», scriverà un altro dei suoi più cari amici, Pier Paolo Pasolini, dopo averla osservata in una festa, «che il suo silenzio è inquieto: dietro la fascia nera degli occhi passano ombre più nere, interrotte, riprese, ora represse come un piccolo rutto, ora liberate come risate». Un’icona tragica e beffarda a un tempo, quella della Magnani. «Facendo un film su Roma», le disse Federico Fellini che la diresse in una delle sue ultime interpretazioni, «io non posso lasciare fuori la tua faccia. Tu sei Roma. Hai quel che di materno, di amaro, di mitologico, di devastato…». E alla parola «devastato» Anna non solo non si risentì, ma si senti, nell’intimo, profondamente compresa.