La “cornice” è la trasmissione "In onda" su “La 7”. L’ospite è il procuratore Nino De Matteo, già componente del Consiglio Superiore della Magistratura, ora applicato alla Procura Nazionale Antimafia. Tema della puntata l’arresto del boss della Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, le possibili implicazioni, il contesto; tattiche e strategie delle cosche mafiose.

Ragionamenti infarciti da mille prudenti condizionali, ipotesi: dunque tutto è possibile, tutto è immaginabile. Rapidi excursus di storia di mafia, si fa cenno al famoso rapporto Leopoldo Franchetti e Sidney Sonnino del 1876, relazione presentata al Parlamento del tempo, passato alla storia in quanto prima indagine documentata sulle condizioni sociali ed economiche della Sicilia dopo l’Unità d’Italia: serve per un “ponte” con la Sicilia dell’oggi, per parlare della evocata da tanti in questi giorni “borghesia mafiosa”, le complicità con politici e amministratori.

Un amabile conversare che poco o nulla aggiunge al già noto, detto e scritto mille volte. E i boss della Cosa Nostra in carcere? Quelli, sostiene il procuratore De Matteo, temono una sola cosa: la condanna all’ergastolo, il fine pena mai.

La riflessione che c’è un’intera generazione di mafiosi implicata nelle stragi che hanno insanguinato la Sicilia, ma anche responsabile degli attentati a Firenze, Milano, Roma, che certamente non si rassegna a morire in carcere. Cenni e riferimenti ai “messaggi” che dal carcere i fratelli Graviano autorizzano siano diffusi; il caso di Salvatore Baiardo, che “anticipa” la cattura di Matteo Messina Denaro: l’anomalia di un’imprendibile boss di mafia che per 28 anni riesce a non lasciare alcuna traccia della sua pur accertata presenza; e negli ultimi due anni sembra abbandonare ogni cautela, si abbandona perfino a infantili e sorridenti selfie…

Chissà, sembra quasi che si sia voluto far prendere; o “semplicemente” si era stancato di quella vita da eterno braccato (ma come: fino a ieri si era parlato di impeccabile operazione dei carabinieri del ROS, di “metodo” Dalla Chiesa…).

Tra un “bla-bla” e un altro, la domanda con sapore d’ingenuità: c’è qualche possibilità che questi boss possano scampare al fine pena mai? Una via d’uscita ci sarebbe: quella di collaborare con la giustizia. Già accaduto: spietati tagliagole sono stati “premiati” per i loro “pentimenti”. Ancora qualche istante, poi altra “ingenua” domanda: se avesse la possibilità di interrogare Messina Denaro cosa gli chiederebbe? L’intervistatore per primo si rende conto che così formulata la domanda è troppo diretta; Di Matteo infatti si schernisce: “Non posso rispondere”. L’intervistatore riformula: quali sono i segreti di cui Messina Denaro è depositario? Questa volta il procuratore non si sottrae.

Meticoloso, preciso, elenca un dettagliato catalogo di misteri e segreti che Messina Denaro a suo giudizio potrebbe svelare e chiarire. Chissà se è azzardato parlare di “connessioni”: ergastolo; collaborazione per uscirne; “questo” è quello che interessa…

Chissà: se ospite in studio fosse stato un generale, forse qualcuno avrebbe parlato di possibile inizio di “trattativa”, di “suggerimenti” e di “messaggi” da recepire.