Il Consiglio regionale Veneto ha bocciato la proposta di legge di iniziativa popolare forte di circa 9000 firme raccolte dall’associazione Luca Coscioni. Questa proposta di legge mirava a garantire da parte delle aziende sanitarie tempi e modi omogenei per valutare le richieste di coloro che in condizioni di profonda vulnerabilità, così come previsto dalla Corte Costituzionale, richiedevano di accedere al suicidio medicalmente assistito. Questa proposta di legge come ha voluto ricordare più volte il presidente Luca Zaia si limitava a dare certezza alle modalità di attuazione dei contenuti della ordinanza prima e della sentenza poi della Corte Costituzionale sull’aiuto al suicidio medicalmente assistito che da oltre cinque anni erano rimaste indefinite da parte del legislatore.

La preoccupazione del giudice delle leggi era stata quella di regolamentare il più possibile l’ambito del proprio operato e di non lasciare un “vuoto normativo”. A tal fine l’ordinanza prima e la sentenza poi aveva dato al Parlamento la possibilità e la discrezionalità di assumere le necessarie decisioni per completare una ricostruzione dell’articolo 580 codice penale.

Già da subito si era intuito che non sarebbe stata facile la realizzazione di un’eventuale futura legge, una strada di fatto già accidentata vista l’eterogeneità dei disegni di legge presenti fin dall’inizio in Parlamento, ma ben poco conformi alle regole e ai principi ricavabili dalla sentenza della Corte. L’unica eccezione è stata la proposta (ddl) Bazoli-Provenza denominata “disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita” (2022) approvato alla Camera, ma mai in seguito discussa in Senato.

Questa difficoltà di un intervento legislativo è divenuto poi sempre più evidente a fronte di un governo di centrodestra, comunque contrario a eventuali normative che potessero anche nel rispetto della Consulta abbreviare la vita di un paziente. Il bene vita come abbiamo avuto modo di vedere in altra occasione, come quella di Indi, non può ricevere da questo governo eccezioni di sorta. Così nell’arco di questo periodo di tempo a fronte del silenzio del legislatore sono intervenuti diversi tribunali regionali, in specie il tribunale di Massa, il tribunale di Ancona e più di recente il tribunale di Trieste che hanno dovuto affrontare l’idoneità dei medicinali da somministrare al paziente, stabilire quale procedura vada seguita, quale forma rivesta il provvedimento conclusivo, chiarire le eventuali impugnabilità del provvedimento stesso e infine i costi richiesti dalla commissione.

La verità è che i pazienti che hanno dovuto far ricorso all’aiuto al suicidio medicalizzato, così come previsto dalla Corte Costituzionale, hanno visto tempi molto lunghi perché il loro diritto venisse rispettato. Un tempo troppo lungo per pazienti che si trovano in condizioni di estrema sofferenza. E una vicenda drammatica di questo genere non può essere caratterizzata da dei vuoti procedurali riempiti con diverse modalità a seconda dei tribunali o dei comitati regionali che possono allungare i tempi di realizzazione di un tale evento. Va anche detto che questa proposta di legge non era a rischio di incostituzionalità, cercando semplicemente di realizzare un diritto fondamentale, garantito dagli articoli 2, 13 e 32 della nostra carta costituzionale, ormai ampiamente riconosciuto al paziente nell’accettazione o nel rifiuto delle terapie, anche quelle salva vita.