Nella Metafisica dei costumi Immanuel Kant lo indica come il metodo più spregevole per uccidere qualcuno riservando ai “venefici”, che alla perfidia aggiungono il tocco viscido della codardia, il sommo biasimo. Un principio presente già nei codici romani, con l’imperatore Antonino Pio che nel secondo secolo dopo Cristo stabilì per legge che l’avvelenamento è cosa molto più grave di un omicidio commesso con la spada, Plus est hominem extinguere veneno, quam occidere gladio.

Arsenico, cicuta, belladonna, mercurio, fino ai micidiali e moderni agenti nervini e radioattivi, fin dall’antichità il veleno è il sistema più efficace per fare fuori rivali e nemici, infido e invisibile si rivela una formidabile arma politica, protagonista di omicidi eccellenti che hanno cambiato il corso della Storia, dalle corti medievali alla “cantarella” dei Borgia, famiglia di papi e di avvelenatori, dall’Inghilterra elisabettiana, ai nostri giorni. Cambiano le sostanze, si affinano i metodi, ma l’idea rimane la stessa, nella sua crudele semplicità: è sufficiente mischiare i veleni in una bevanda o diffonderli nell’ambiente per ottenere il massimo risultato senza correre alcun rischio. Anche se la chimica forense ha compiuto passi da gigante, e oggi riesce a individuare tracce di tossine una tempo impercettibili, il circo dei veleni, un po’ come quello delle droghe sintetiche, è sempre un passo avanti a chi vuole combatterlo e sforna continuamente nuove sostanze difficilissime da riconoscere e catalogare.

Nell’ultimo secolo la specialista assoluta dell’avvelenamento politico volto a eliminare oppositori, traditori e dissidenti vari è la madre Russia, capace di escogitare sistemi sempre più mimetici e sofisticati. Una tradizione che lega gli zar e i bolscevichi per poi diventare un autentico marchio di fabbrica dell’odierno regime putiniano.

Il primo eclatante caso fu quello di Rasputin, il monaco mistico e guaritore consigliere dei Romanov, avvelenato tramite cianuro e poi annegato nella Moscova nel 1916 alla vigilia della Rivoluzione comunista. La stessa morte di Lenin, avvenuta nel 1924 per una malattia degenerativa si sospettava fosse provocata da avvelenamento e ancora oggi è oggetto di dibattito. Forse l’omicidio più iconico dell’era sovietica è quello di Georgi Markov dissidente del regime di Sofia, commesso a Londra il 7 settembre 1978 con la tecnica del cosiddetto “ombrello bulgaro”. Quel giorno Markov camminava tranquillo lungo il Ponte di Waterloo per raggiungere gli studi della Bbc quando un uomo lo urta con un ombrello scusandosi e proseguendo per la sua strada. Markov sente una piccola puntura alla gamba destra ma non ci fa troppo caso. Nel giro di qualche ora la gamba si gonfia, viene colpito da una febbre altissima, poi da una setticemia, seguono quattro giorni di sofferenze atroci prima che sopraggiunga il coma e infine la morte. «Bisognava creare dei sintomi capaci di confondere i dottori», confessò poi Boris Volodarsky un ex agente pentito del Kgb. Markov fu la prima vittima dell’ombrello bulgaro, prima di lui il veleno, a base di ricina, era stato testato con efficacia su un cane. Due settimane dopo un altro dissidente bulgaro, Vladimir Kostov, viene “pizzicato” alla schiena dalla punta di un ombrello, stavolta siamo a Parigi nella stazione del metrò Champs Elysées. Kostov ha più fortuna del suo compagno di sventura, forse grazie alla corporatura robusta riesce a sopravvivere al supplizio.

Da quando, nel 2000, Vladimir Putin è salito al Cremlino, la lista di omicidi o tentati omicidi di oppositori tramite contaminazione è impressionante. Uno delle storie più conosciute e più strazianti riguarda l’ex agente dell’intelligence Alexander Valterovich Litvinenko, avvelenato da radiazione da polonio- 210 in una sala da te di Londra il 1 novembre 2006: morì 22 giorni dopo tra atroci tormenti con il copro letteralmente devastato dal micidiale isotopo.

Due anni prima era toccato all’ucraino Viktor Yushchenko, candidato alle elezioni presidenziali e principale sfidante del presidente filo- russo Viktor Yanukovich. Yushenko si ammalò dopo una cena con il capo dei servizi segreti; l’intossicazione non fu fatale ma gli sfregiò il volto in modo permanente provocando serie complicazioni al metabolismo, per la procura ucraina i sintomi sarebbero stati causati da un semplice virus influenzale, ma laboratori stranieri indipendenti stabilirono che il leader politico era stato contaminato con la diossina.

Nel 2018, Sergueï Skripal, anche lui ex agente del Fsb e ancora una volta nel Regno Unito, è stato trovato svenuto e in condizioni gravissime assieme alla figlia Yulia all’interno di un parco pubblico di Salisbury; in quel caso l’intossicazione è avvenuta per via aerea tramite un gas nervino, il Novichok, che aveva provocato malori in altre 21 persone presenti in quel momento sulla scena. Skripall e la ragazza grazie alle cure dei medici britannici sono risciti a salvarsi.

Il Novichok ha riguadagnato gli onori delle cronache proprio in questi giorni, dopo la morte dell’oppositore russo Alexei Navalny in una colonia penale della Siberia. I suoi familiari, gli amici e gli avvocati sono certi che l’agente nervino abbia causato direttamente il decesso di Navalny (che nel 2020 in Germania aveva già subito un tentativo di avvelenamento che lo aveva portato al coma). Il corpo del dissidente è ancora nelle mani delle autorità russe che lo terranno per una dozzina di giorni. Giusto il tempo per cancellare le tracce.