Negli ultimi anni si son verificate ipotesi abbastanza frequenti in cui Tribunali e Corti son stati chiamati a valutare il comportamento di scienziati di varia estrazione le cui omissioni o le cui inesattezze potevano in astratto costituire reato.L’ultimo in ordine di tempo quello della nota ricercatrice italiana Ilaria Capua, la quale, ben prima di essere assolta dalle imputazioni mosse dalla Procura in ordine all’uso di alcune sostanze ritenute pericolose (nella specie alcuni virus) aveva ben pensato di trasferirsi negli Stati Uniti.Ma non si tratta di un caso isolato.Qualche anno or sono, la Procura dell’Aquila mise sotto accusa alcuni scienziati – geologi e sismologi – imputando loro di non aver previsto con sufficienti sicurezza e anticipo, il grave terremoto che sconvolse l’Abruzzo.Ora, messa così la cosa, quale potrà mai essere il rapporto fra verità scientifica e verità processuale? Quale giustizia insomma potrà essere resa agli scienziati dei vari campi del sapere?Non si dice nulla di nuovo affermando che la verità scientifica è caratterizzata da alcuni requisiti che sono in sintesi 1) oggettività: la verità scientifica è valida per tutti e ad ogni latitudine; 2) provvisorietà: la verità scientifica è sempre falsificabile, cioè suscettibile di essere sostituita da altra verità, vale a dire da altra teoria; 3) riproducibilità: la verità scientifica è riproducibile, vale a dire può essere riprodotta in laboratorio un numero infinito di volte, conducendo sempre allo stesso risultato.Al contrario, la verità del diritto, cioè la giustizia è caratterizzata da diversi requisiti: 1) personalità: la giustizia viene sempre declinata a partire dalla persona che la amministri, per cui, come affermava Platone, un giudice ingiusto mai potrà rendere una sentenza giusta; 2) definitività: una decisione resa in termini di giustizia lo è in modo tendenzialmente indefinito, vale a dire che fa stato nel futuro in modo illimitato (tranne particolarissime eccezioni); 3) singolarità: una sentenza non potrà mai essere uguale ad un’altra in modo meccanico e pedissequo, dal momento che non esistono nel mondo umano, due casi assolutamente eguali.Come si vede, sembra trattarsi di grandezze fra loro, per dir così, incommensurabili, tali da non poter essere in alcun modo ricondotte ad unità.In effetti, proprio questo sembra essere accaduto all’Aquila quando il Tribunale in prima istanza ebbe a condannare sismologi e geologi, colpevoli a suo dire di non aver previsto con maggior precisione il terremoto, consentendo alla popolazione di mettersi in salvo.Che dire di questa decisione?Semplicemente, che sembra non essersi fatta carico per nulla della reale consistenza della verità della scienza.In altri termini, i giudici non hanno in modo sufficientemente chiaro percepito che gli scienziati imputati non potevano in nessun modo, usando gli strumenti a loro disposizione, dichiarare lo stato di emergenza atto a scongiurare gli effetti mortali del terremoto, senza timore di prendere un abbaglio tanto grossolano, quanto pericoloso per la incolumità pubblica in termini di panico diffuso ed incontrollabile.Lo proibiva loro non già una qualche indefinibile remora, ma lo statuto epistemologico medesimo della scienza da loro praticata.Uno scienziato degno di questo nome non potrà mai ad ogni evenienza sospetta lanciare un allarme tanto generalizzato quanto scientificamente dubbio o addirittura infondato: ed infatti la Cassazione tempo fa ha confermato la loro definitiva assoluzione da ogni addebito.Il caso dimostra in modo chiaro che l’errore dei giudici di primo grado fu dovuto ad un mancato rispetto delle caratteristiche proprie della verità scientifica, ad una loro pericolosa sottovalutazione.Se i giudici di primo grado avessero infatti tenuto presente che le teorie scientifiche sono caratterizzate necessariamente dai requisiti sopra in modo sintetico menzionati, allora si sarebbero ben guardati anche soltanto dall’accusare gli scienziati di colpe in realtà inesistenti.Per converso, in senso speculare, gli scienziati hanno invece rettamente interpretato le caratteristiche proprie della verità del diritto - la giustizia - proponendo impugnazione dopo la condanna di primo grado.Così facendo, essi hanno mostrato di ben comprendere che uno dei caratteri fondamentali della giustizia è dato dalla persona che sia chiamato ad amministrarla e perciò essi ben sapevano che gli stessi elementi processuali, se valutati da persone diverse, avrebbero condotto alla loro assoluzione: cosa che si è puntualmente verificata.Insomma, mentre i giudici di prima istanza hanno gravemente equivocato sullo statuto proprio della verità della scienza, gli scienziati si son mostrati ben consapevoli dello statuto proprio della giustizia ed hanno agito di conseguenza.Ne viene che verità della scienza e verità del diritto risultano perfettamente compatibili – nonostante la loro strutturale diversità – sotto il profilo del reciproco rispetto loro dovuto da tutti e da ciascuno nell’ambito delle rispettive operatività.Se invece, come accaduto da parte dei giudici di prima istanza dell’Aquila, chi amministri la giustizia ignora quei requisiti o li sottovaluta, allora il rischio è commettere ingiustizia, perché il diritto non riesce a calibrarsi sulla verità della scienza.Le due verità stanno l’una di fronte all’altra. Debbono riconoscersi e rispettarsi a vicenda. E questo non sempre si comprende.