«Un tentativo di condizionamento: sono al centro di un regolamento di conti». Non usa mezzi termini l’ex consigliere del Csm Luca Palamara, che definisce così la memoria di 12 pagine presentata dall’Anm ieri a Perugia, memoria ritenuta inammissibile dalla Corte d’Appello in quanto depositata fuori tempo massimo. Tutto è avvenuto nel corso dell’udienza sull’istanza di ricusazione avanzata dai legali di Luca Palamara nei confronti delle giudici del collegio che dovrà giudicarlo nel processo per corruzione, durante la quale l’Associazione nazionale magistrati ha deciso di depositare un documento, con il quale ribadisce che, «pur non potendo partecipare», «pare opportuno rappresentare» le ragioni «per le quali l’ammissione dell’Associazione nazionale magistrati come parte civile non determinerebbero l’integrazione del caso di ricusazione».

Secondo gli avvocati Benedetto Buratti e Roberto Rampioni, Palamara non può essere infatti giudicato dalle giudici Carla Maria Giangamboni e Serena Ciliberto in quanto iscritte all’Anm, che ha chiesto di costituirsi parte civile al processo e di farsi risarcire dal suo ex presidente per i danni morali causati dal suo comportamento. Un «palese» conflitto di interessi, secondo la difesa, che ha per settimane inseguito il presidente del sindacato delle toghe, Giuseppe Santalucia, chiedendo di conoscere l’elenco degli iscritti e valutare un’eventuale situazione di incompatibilità, richiesta alla quale Santalucia si era opposto per questione di privacy. Alla fine erano state le stesse giudici a confermare la loro iscrizione all’Anm, chiedendo di potersi astenere dal processo e, dunque, avallando i dubbi della difesa.

La richiesta è stata però rigettata dal Tribunale di Perugia, motivo per cui Palamara ha presentato istanza di ricusazione, alla quale la procura generale del capoluogo umbro si è opposta. Nella sua memoria, il sostituto procuratore generale Tiziana Cugini ha infatti sottolineato che «il valore morale-etico ed al contempo il valore giuridico tutelato statutariamente dall’Associazione nazionale magistrati è lo stesso valore che anima il magistrato nella sua funzione quotidiana di esercizio della giustizia prima ed indipendentemente dall’essere iscritto ad una Associazione che di quegli stessi valori si erge a paladina. Allora nessun magistrato e non solo il magistrato iscritto all’Anm potrebbe giudicare di questi fatti, perché sempre avrebbe un interesse alla tutela ed al rispetto di quei valori che l’Anm si prefigge per Statuto di proteggere». E ieri, a dare manforte ci aveva provato anche l’Anm. Ma con argomentazioni diverse da quelle della procura generale: nella memoria si legge infatti come l’Associazione sia «soggetto autonomo e distinto dai propri associati singolarmente intesi, assumendo da questo punto di vista una veste istituzionale rappresentativa di valori e portatrice di interessi propri, autonomi e non confondibili con quelli di ciascun associato come singolo».

Ma non solo: «Nessun riverbero sulla condizione dei singoli associati può avere l’accrescimento del patrimonio dell’Associazione derivante, in ipotesi, dall’esito del giudizio», ha argomentato l’avvocato Francesco Mucciarelli, in quanto «non è infatti prevista alcuna distribuzione di utili, sotto nessuna forma, e neppure si fa luogo a una ripartizione dell’attivo patrimoniale in caso di scioglimento dell’Associazione stessa. Sicché nessun riflesso economico può incidere ( accrescendola o diminuendola) sulla sfera economica del singolo associato: negare siffatta conclusione implica necessariamente negare la distinzione fra ente metaindividuale e individuo». Inoltre, secondo l’Anm, se si volesse dar credito alla tesi di Palamara, l’Associazione «non potrebbe tutelare la propria immagine e la propria reputazione nell’ipotesi – tutt’altro che scolastica – che qualcuno definisca l’Anm un’associazione per delinquere». Una «aporia logica» che basterebbe di per sé, secondo il sindacato delle toghe, a respingere la richiesta di Palamara.

La Corte d’Appello di Perugia, nell’udienza di ieri, si è riservata di decidere. Ma intanto a prendere la parola, al termine dell’udienza, è stato lo stesso Palamara, che ha criticato la mossa dell’Anm. Una sorta di «intimidazione», secondo l’ex consigliere del Csm, che ha dunque puntato il dito contro gli inquilini di quella che un tempo era stata casa sua. «Attenderò con serenità la decisione sulla mia istanza di ricusazione, ma da uomo libero e da cittadino di questo Paese democratico ribadisco che non mi faccio e non mi farò mai intimidire da nessuno - ha affermato -, tantomeno dalla attuale dirigenza dell'Anm, molto lontana dai fasti gloriosi che l'hanno caratterizzata.

Grave e irrituale il tentativo di condizionamento nei confronti dei giudici della corte d'appello di Perugia chiamati a decidere sulla ricusazione depositando fuori termine una memoria che rischiava di poter diventare una traccia per l'eventuale decisione. Tutto questo - assicura - rafforza il mio convincimento di essere al centro di un regolamento di conti interno alla magistratura tra le correnti ancor di più in vista delle prossime elezioni del Csm e rafforza l'idea di un mio impegno politico per una giustizia giusta e non vendicativa. Giustizia non può essere vendetta. A breve renderò noto le modalità con le quali mi candiderò alle prossime elezioni politiche del 2023 per rispondere alle numerose istanze di tanti cittadini che quotidianamente nell'occasione delle presentazioni dei miei libri verità mi chiedono di impegnarmi per una giustizia giusta».