«Non faremo mai parte del gioco elettorale. Continueremo a dire la verità, non importa quello che dicono gli altri. La storia ci darà di nuovo ragione. Non vogliamo avere ragione, vogliamo porre fine alle sofferenze del nostro popolo (...). Pesanti attacchi attendono il nostro popolo e tutti noi se viene eletta l'opposizione dell'ordine o l'elezione dell'Akp (il partito di Erdogan, ndr). Come avvocati imprigionati del nostro popolo, gridiamo dalle celle: le elezioni non sono un rimedio! È sbagliato sperare con sogni vuoti e disperarsi perché il potere politico ruberà i voti. L'elezione è distrazione. Le elezioni sono bugie. La realtà è la lotta per la vita delle persone nell'area terremotata. È la nostra vera fame. (...) Non abbiamo altra salvezza che aumentare la resistenza e la lotta». Quello che vi proponiamo in esclusiva è un passaggio della lettera scritta dal carcere lo scorso 14 maggio da Aytaç Ünsal, l’avvocato turco che ha affrontato lo sciopero della fame a fianco alla collega Ebru Timtik, morta dopo 238 giorni di digiuno. Rilasciato dopo una mobilitazione internazionale, poi picchiato e riportato in carcere, oggi Ünsal sconta il carcere assieme ai colleghi progressisti del Chd, condannati all’esito di un processo-farsa durato nove anni e una sentenza tutta politica.

L’ennesimo avvertimento del “sultano” Recep Tayyip Erdoğan a tutti i suoi oppositori, primi fra tutti proprio gli avvocati, difensori dei diritti e della libertà del popolo turco. Quel procedimento si è chiuso a novembre scorso con ventidue condanne, con l’accusa pesantissima di “appartenenza a organizzazione terroristica”, “propaganda” e “crimini di resistenza”, in violazione di qualsiasi elemento costitutivo del giusto processo: dal diritto alla difesa, a quello al contraddittorio, passando per il diritto ad essere giudicati da un tribunale indipendente.

Colpa degli avvocati quella di aver difeso gli oppositori politici di Erdoğan, ma non solo: tra loro ci sono anche i difensori delle famiglie espropriate delle loro case a Istanbul, abbattute per far posto ai grattacieli, o di donne che sono state picchiate dai mariti perché rifiutavano di portare il velo. Tra i volti più noti del processo Selcuk Kozagacli, (presidente del Chd), condannato a un totale di 13 anni per aver fondato e gestito un’organizzazione internazionale di matrice terroristica, mentre gli altri (tra i quali Barkin Timtik, sorella di Ebru Timtik, condannata a 20 anni e sei mesi) per averne fatto parte. Il capo di imputazione si regge sull'aver suggerito ai propri clienti di avvalersi della facoltà di non rispondere, con una percentuale statistica considerata superiore al dato nazionale, ma anche a colloqui con le famiglie troppo lunghi e frequenti.

La storia è iniziata con le purghe contro gli accademici, messa in atto da Erdoğan dopo il mancato golpe, tra i quali Nuriye Gulmen e Semih Ozakca, imputati per “terrorismo” per presunti legami con il gruppo di estrema sinistra Dhkp. L’arresto di tutti e venti gli avvocati del collegio difensivo è avvenuto due giorni prima dell’inizio del processo a loro carico, diventato di colpo un processo politico per contrastare l’opposizione. Solo sei mesi dopo l’arresto, a marzo 2018, agli avvocati è stato concesso di prendere visione dei capi d’imputazione, secondo i quali l’associazione degli avvocati progressisti costituirebbe una branca del partito rivoluzionario messo fuori legge da Erdoğan. La riforma costituzionale ha poi segnato in via ufficiale una vera e propria fusione tra potere governativo e sistema giudiziario: con la legge antiterrorismo del 25 luglio 2018 è stata infatti istituita una costola del potere che monitora gli istituti pubblici e che ha pieno e completo accesso a tutti gli elementi sensibili di tutti gli ordini degli avvocati della Turchia.

Ma nemmeno le carceri-lager del Sultano sono riuscite a zittire Ünsal, che il 5 aprile scorso aveva già scritto ai suoi colleghi, in occasione della Giornata degli Avvocati del Popolo. «Abbiamo fatto della nostra vita uno strumento di difesa - ha sottolineato, ricordando il prezzo pagato da Timtik -. Stiamo ancora resistendo con le nostre vite e i nostri denti. Difendiamo le nostre vite tra le macerie. Facciamo la guardia alle prove sotto il cemento. Seguiremo le cause che difenderanno le vite che costruiremo insieme alla nostra gente, che sta lottando per questo».

Ed è una battaglia ancora tutta da combattere: la macchina repressiva di Erdoğan non si è infatti mai arrestata e tre settimane prima delle elezioni è partito l’ordine di arresto che ha riguardato almeno 150 persone nell'ambito di un'operazione "antiterrorismo" contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk). Secondo l'Ordine degli avvocati di Diyarbakir, tra gli arrestati ci sarebbero almeno 25 avvocati, tra i quali quelli che avrebbero dovuto proteggere le urne elettorali, ma anche dieci giornalisti, attori teatrali e un politico. L’accusa è quella di aver finanziato il Pkk o di avere collaborato con il gruppo curdo armato, che da 40 anni combatte con l'esercito turco. Non c’è dunque spazio per i dissidenti nella Turchia di Erdoğan, dove le carceri ingoiano coloro che protestano per i diritti civili spuntadoli fuori, molto spesso, soltanto da morti.

Sono migliaia, stando al rapporto di Amnesty international, le persone rimaste in custodia cautelare per tempi lunghissimi, senza che a loro carico vi fossero prove di un qualche reato riconosciuto dal diritto internazionale, in carceri dove non di rado è praticata la tortura. Un sistema in cui lo Stato di diritto ha subito un crollo verticale, a causa della mancanza di separazione dei poteri e per colpa della parzialità dei giudici, che temono di essere sanzionati, trasferiti e licenziati. Sono 120 i giornalisti attualmente in carcere e oltre duemila gli avvocati perseguitati o in cella, uomini e donne diventati il simbolo della repressione dell’opposizione politica al regime di Erdoğan, che il giorno dopo il fallito golpe del 16 luglio 2016 ha licenziato 2.745 giudici, un terzo del totale.

A seguito delle epurazioni dopo il tentativo di colpo di Stato del 2016, i magistrati più esperti sono stati assegnati a questioni sociali o commerciali e quelli, spesso inesperti, a questioni penali, anche a Istanbul, dove era richiesta un’esperienza di 15 anni, come evidenziato dall’Oiad, l’Osservatorio internazionale di avvocati in pericolo. Ma non solo: 182.247 funzionari, insegnanti e accademici statali hanno perso il lavoro, 59.987 di loro sono stati arrestati e condotti in carcere, dove il diritto alla difesa è una chimera.