Le dichiarazioni di Donald Trump hanno suscitato preoccupazione e sconcerto. Mi riferisco a quelle rilasciate nei giorni scorsi che costituiscono un vero e proprio attacco, sia pure indiretto, al Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden.

“Nessuno dei leader mondiali”, queste le parole del magnate newyorkese, “buoni o cattivi, è così malvagio e malato come i delinquenti che abbiamo nel nostro paese che con le loro frontiere aperte, l’inflazione, la resa in Afganistan, la nuova truffa verde, le tasse elevate, nessuna indipendenza energetica, la crisi delle forze armate, stanno cercando di distruggere i nostri Stati Uniti, un tempo grandi: possano marcire all’inferno!”

La politica si sa spesso e volentieri registra attacchi dell’una parte all’altra e viceversa contraddistinti da veemenza vocale e anche da accesa polemica. Succede spesso anche in Italia. Quel che è certo è che, a meno che la memoria non inganni, anche il più acceso scontro verbale verificatosi nel nostro paese niente ha a che vedere con quanto dichiarato dal possibile, se non probabile, candidato repubblicano alle prossime presidenziali Usa.

Eppure la veemenza verbale, il ricorso ad affermazioni gravissime - in pratica il capo dello Stato è stato definito come un delinquente - oltre ad essere obiettivamente sgradevoli, distruggono sul nascere qualsiasi possibilità di confronto. Appare quindi ancor più significativo e importante il Codice Deontologico Forense, che tutti noi dobbiamo osservare e, segnatamente, l’art. 52 che ci impone il divieto di usare espressioni offensive o sconvenienti. Obbligo che vale sia negli scritti in giudizio, sia nell’esercizio dell’attività professionale ed è riferibile ai Colleghi, ai Magistrati, alle controparti e ai terzi. Un divieto a 360° quindi. Tali espressioni sono giudicate come contrarie alla correttezza e lealtà dei rapporti: l’espressione offensiva indica un mero intento ingiurioso e dispregiativo; quella sconveniente è correlata all’inopportunità dell’espressione stessa che cerca di colpire, in maniera appunto disdicevole, la persona a cui è rivolta.

Si tratta di un valore aggiunto, dirò di più, di un valore fondamentale che rappresenta un fulcro, tra i più significativi, della nostra professione. Imparare a discutere in maniera appropriata, con la scelta di argomenti meditati e approfonditi (spesso la veemenza verbale è frutto di un esame sommario e superficiale delle questioni), è un insegnamento al quale, ad esempio, Piero Calamandrei si rifaceva costantemente.

Viene pertanto da chiedersi se la nostra professione, spesso e volentieri bistrattata, e comunque disattesa rispetto a certe istanze di giustizia, possa per una volta offrire a tutti, ai politici innanzitutto, un valore indiscutibile: quello della decenza verbale che dovrebbe essere sempre propria di chi rappresenta le istituzioni.

Né vale obiettare che ciò potrebbe significare una limitazione alla libertà del dibattito, alla libertà di critica e anche di accusa di determinati comportamenti: si tratta di ben altro, di recuperare un valore sul quale, ovviamente insieme ad altri, fondare il dibattito civile.

Chissà che, almeno questa volta, l’Avvocatura non venga ascoltata sul serio.