La determinazione degli onorari dovuti dall'avvocato al cliente si svincola dalle disposizioni della sentenza che condanna la controparte al pagamento delle spese legali.

La vicenda
Nel caso in esame un avvocato, dopo aver svolto la sua professione in una procedura fallimentare e richiesto la liquidazione dei suoi compensi in base a quanto definito giudizialmente (poi confermato dal giudice secondo la proposta del curatore), si è rivolto alla Corte di Cassazione contestando la decisione del Tribunale di Brescia che escludeva ulteriori richieste di compenso da parte dell’avvocato.
La sentenza
La Cassazione, con l'ordinanza n. 32558/2023, ha confermato che la determinazione degli onorari dell'avvocato in una procedura fallimentare è un atto giurisdizionale autonomo, separato dalle decisioni sulle spese processuali.
In base a questo presupposto, la Corte ha ribadito un principio fondamentale ovvero che la determinazione degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato non dipende dalle disposizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese e agli onorari di causa. Questa distinzione è cruciale in quanto l'obbligo di pagamento degli onorari da parte del cliente trova fondamento nel contratto di prestazione d'opera, mentre per la parte soccombente, l'obbligo è legato al principio di causalità rispetto all'esito del procedimento legale.
Gli Ermellini hanno sottolineato che anche con il passaggio dal sistema tariffario a quello dei parametri, il cui inizio risale all'entrata in vigore della L. 247/2012, l'importo del compenso, se non pattuito per iscritto tra cliente e avvocato, viene determinato secondo i parametri stabiliti dal D.M. 55/2014. Questo principio rimane valido nonostante il passaggio in giudicato delle decisioni sulle spese processuali.
Nel caso specifico, le spese processuali sono state liquidate in misura maggiore rispetto a quanto indicato dal giudice delegato, permettendo all'avvocato di richiedere la somma aggiuntiva dovuta per il lavoro svolto.
La Corte ha concordato che questa somma extra doveva essere liquidata in quanto la prestazione era effettivamente vantata dalla massa fallimentare, evitando così un ingiusto arricchimento della procedura fallimentare. In conclusione, la Cassazione ha accolto il ricorso presentato dal professionista.