Milano, 22 set. (Adnkronos) - "L'istituto della giustizia riparativa non è un'alternativa al carcere, ma viaggia di pari passo al processo penale, che quindi prosegue. Ciò significa che chi viene ammesso al programma non evita il carcere, ma ha la possibilità di intraprendere un percorso parallelo di riabilitazione attraverso attività al servizio delle vittime, accompagnati da un percorso psicologico più strutturato rispetto a quanto avviene attualmente; allo stesso tempo dovrebbe garantire alla comunità di non rischiare, una volta uscito, di ritrovarsi alle prese con un soggetto pericoloso, ma di poter contare su un uomo riabilitato, che ha superato le sue difficoltà". Così, all'Adnkronos, Stefano Paloschi, legale difensore di Davide Fontana, il bancario di 44 anni condannato a 30 anni per aver ucciso e fatto a pezzi Carol Maltesi l'11 gennaio 2022 a Rescaldina, nel milanese. La notizia dell'accoglimento da parte del tribunale di Busto Arsizio della richiesta di Fontana di avvio al programma di giustizia riparativa ha suscitato già molte polemiche tra le associazioni impegnate nella lotta alla violenza di genere e la famiglia di Carol Maltesi: "Io -dice Paloschi- capisco i sentimenti dei familiari di Carol, li comprendo e li rispetto. Tuttavia credo che chi lotta contro la violenza di genere dovrebbe guardare con interesse a questo istituto. Che, lo ribadisco, non è alternativo al carcere. Semmai è uno sforzo aggiuntivo per il reo". Del resto, aggiunge Paloschi, "Fontana ha sempre detto di essere disposto a fare tutto quanto il possibile per cercare di alleviare, attenuare, riparare ciò che aveva fatto. Lo ha sempre detto, agli inquirenti fin dal momento del suo fermo e poi alla Corte d'Assise. Ed è emerso con sincerità anche durante la terapia alla quale è stato sottoposto". Ma cosa succede in concreto con l'avvio del programma? "Per prima cosa si tenta un confronto con la vittima o con la famiglia della vittima -risponde il legale-; nel caso questi non intendano partecipare, si rivolge la proposta a una vittima surrogata, cioè che abbia subìto un reato analogo". E dunque "al percorso psicologico al quale il reo viene sottoposto, si aggiungono attività concrete a favore delle vittime o di enti e associazioni che sostengono le vittime. E non è una cosa breve, ma un percorso che dura diversi anni. Nei Paesi anglosassoni, dove la giustizia riparativa è un istituto tipico, la sperimentazione è avvenuta con successo. Ne è un esempio il Sud Africa, dove la giustizia riparativa è stata introdotta per sanare la frattura sociale generata dall'Apartheid". In Italia, però, non si hanno dei precedenti, trattandosi del primo caso nell'ambito di un reato di omicidio: "E' per questo che dico che chi si batte contro la violenza di genere dovrebbe guardare con interesse a questo istituto -ribadisce-. Anche perché abbiamo visto con gli ultimi casi di cronaca che limitarsi ad innalzare le pene, o minacciare l'ergastolo, non serve a niente. E' creando coscienza sociale che si possono ottenere risultati". Certamente, ammette, "potrebbe non funzionare, ma partire dal presupposto di indignarsi e polemizzare perché si concede a un condannato di mettersi a disposizione per cercare di non commettere più errori a me sembra francamente sbagliato".
**Omicidio Carol Maltesi: legale Fontana, 'giustizia riparativa non è alternativa al carcere'**
22 settembre, 2023 • 15:20