Ignazio La Russa ribadisce al termine dell’esecutivo, svoltosi ieri pomeriggio, di Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni, il primo dopo le elezioni, che per il nuovo governo non ci saranno «veti». Come, del resto, aveva già affermato nei giorni scorsi la stessa presidente di Fratelli d'Italia, di fatto candidata premier in pectore. E inevitabilmente i riflettori si riaccendono sullo snodo decisivo del Viminale che la Lega l’altro ieri nel consiglio federale ha reclamato compatta per Matteo Salvini, attraverso le parole sia del capogruppo alla Camera, Riccardo Molinari, e quelle del vicesegretario e ministro Giancarlo Giorgetti.

La Lega, che ha pagato il prezzo di un salasso di consensi anche al Nord dopo la sua partecipazione al governo Draghi di emergenza nazionale, aveva anche detto, nella nota ufficiale, che è necessario «riportare la buona politica, chiudendo così la stagione dei tecnici». E qui i riflettori si accendono anche sul secondo snodo decisivo per la formazione del nuovo governo, che anche Silvio Berlusconi ha auspicato «sia politico». La soluzione dei due snodi, insieme con l’insediamento dei due presidenti di Camera e Senato determinerà poi i nomi delle caselle governative. Meloni, come riportano le agenzie di stampa, durante l’esecutivo avrebbe raccomandato «sobrietà e prudenza» per un governo «di alto profilo, politico e molto coeso, sulla base del chiaro mandato popolare».

Esecutivo, presumibilmente a sua guida, nel rispetto delle decisioni del Capo dello Stato, che la leader di FdI auspica sia all’altezza del grave momento italiano e internazionale, a cominciare dalla crisi energetica. Ma, Meloni avrebbe anche affermato che non intende «farsi imporre nomi da nessuno» e che non spetterebbe al nuovo governo risolvere problemi dentro altri partiti. Quanto ai tecnici e il rapporto con il premier uscente Mario Draghi, avrebbe ribadito: «Nessun inciucio, ma necessità di assicurare una transizione ordinata». Nomi non si sarebbero fatti durante la riunione così come al vertice leghista dell’altro ieri. Il capogruppo al Senato di FdI, Luca Ciriani però dice ai cronisti: «Che ci sia qualche tecnico non deve scandalizzare nessuno». Anche se Fabio Rampelli, cofondatore di FdI, vicepresidente della Camera tende a smussare dicendo che il governo è evidentemente «politico» proprio per la sua stessa guida.

Comunque sia, a parte il detto non detto dei riti politici in questo passaggio così delicato, rumors di Palazzo continuano a parlare di ipotesi di «tecnici» in tre o quattro ministeri strategici: Esteri, Interno, Economia e Difesa. Non dovrebbe esserci la Giustizia, dove le indiscrezioni danno sempre in pole l’ex magistrato Carlo Nordio, candidato da FdI e ora eletto alla Camera. Le quattro ipotesi di ministeri “tecnici” non sarebbero sgradite dalle parti del Colle. Ma se i rumors saranno confermati evidente che si riaprirebbero frizioni tra FdI e gli alleati a cominciare dalla Lega che, appunto, non aveva fatto mistero l’altro ieri del fatto di ritenere, appunto, «chiusa la stagione dei tecnici».

Salvini, spinto dalla compattezza del suo partito, non sembra intenzionato a cedere su un suo ritorno all’Interno. «Me lo dovranno dire in faccia, altrimenti», cosi avrebbe detto l’altra sera ai suoi. Nomi non sono stati fatti, ma la Lega chiederebbe inoltre Autonomie regionali, con la veneta, ora ministro, Erika Stefani, Agricoltura con Gianmarco Centinaio, Infrastrutture e Disabilità. Ma un problema rischia di aprirsi anche per Forza Italia, di cui il coordinatore e vicepresidente, Antonio Tajani, che è stato alla guida del Parlamento europeo e commissario Ue, continua ad essere dato dai rumors sulle richieste interne di FI agli Esteri o alla Difesa. Non all’Interno, perché altrimenti la cosa suonerebbe come una nota stonata nei buoni rapporti tra azzurri e Lega, partner più che mai decisivi di Meloni che ha vinto nettamente, ma non ha raggiunto quota 30 per cento.

Quanto all’Interno, la Lega secondo osservatori esterni, potrebbe partire da lì per poi ottenere altri ministeri di peso per il suo leader, con l’ipotesi in seconda battuta che al Viminale vada il prefetto Matteo Piantedosi, che già aveva collaborato con Salvini al dicastero. Ma in Lega non sembra al momento tirare aria di trattativa. Sul Viminale per Salvini non molla. E si sa d’altro canto che essere vicepremier senza un ministero di peso sin rischia di avere in mano come una scatola vuota. E nel pomeriggio una nota di via Bellerio chiarisce: «Matteo Salvini è pronto a un incarico di governo, ma la priorità resta il caro bollette». Potrebbe esserci anche il Mise nella rosa delle opzioni del leader leghista?