Sono pienamente a favore della pace. E sono totalmente contrario alle guerre. Ma di fronte a quanto sta avvenendo in Ucraina non credo si possano prendere posizioni pilatesche. Occorre invece ragionare, anche in termini giuridici, per pervenire alla pace, purché giusta e possibilmente duratura.

In effetti, di fronte all’aggressione della Federazione Russa nei confronti dell’Ucraina, limitarsi ad invocare la pace mi sembra sia una posizione troppo semplicistica. Scendere in guerra, a fianco dell’Ucraina, una decisione oggettivamente improponibile e pericolosa. Cosa è possibile fare, allora, seguendo i percorsi del diritto?

Porrei la questione in questi termini, maggiormente comprensibili, sul piano dei rapporti interpersonali alla luce del nostro diritto penale. Se qualcuno aggredisce ingiustamente un’altra persona, quest’ultima ha il diritto di difendersi: è il tema, sempre dibattuto, della legittima difesa. Di questo profilo si occupa l’art. 52 del codice penale del 1930, la cui portata si è tentato di ampliare, a favore dell’aggredito, nel 2006 e poi nel 2019. Tutti noi comprendiamo che chi si difende non commette alcun reato, perché è la vittima della situazione creata dall’aggressore. E la legge consente anche ad un terzo, estraneo alla vicenda che si svolge tra l’aggressore e l’aggredito, di intervenire contro l’aggressore: è l’ipotesi che si chiama “soccorso difensivo”.

Riportando la riflessione sulla guerra in Ucraina, quasi tutti gli osservatori neutrali (e, certamente, quelli occidentali) sono convinti che la Russia abbia aggredito l’Ucraina; e dunque quest’ultima ha il diritto di difendersi. Affermare che per raggiungere la pace occorre dare qualcosa in cambio alla Russia, in chiave transattiva, di trattativa, è come ipotizzare che l’aggredito dovrebbe comunque accettare di subire un danno dall’aggressore. Concedere alla Russia parti di territorio ucraino significherebbe sostanzialmente accettare una sconfitta, sia pure parziale. Certo, sul piano delle relazioni internazionali, ci possono essere vie alternative, possibili e persino ragionevoli (l’impegno ad una neutralità dell’Ucraina; la promessa che non entri nella Nato): ma pretendere una resa degli ucraini mi sembra veramente troppo.

Rimane l’altra domanda sospesa: cosa possiamo fare noi? Io penso che possiamo aiutare la resistenza (sì: gli ucraini resistono e lo fanno eroicamente) con tutti gli aiuti indiretti ipotizzabili (da quelli alimentari e umanitari sino alla fornitura di armi). Perché aiutare l’aggredito non solo è giuridicamente lecito, ma persino moralmente giusto.

Inoltre, si possono intensificare le sanzioni contro la Russia: del resto, l’impero sovietico è imploso e non penso che la pressione interna, ove crescesse, sarebbe irrilevante. Naturalmente, poi, sul versante delle relazioni internazionali, il piano delle trattative è sempre quello auspicabile: ma per sedersi ad un tavolo ci deve essere un reciproco interesse, che al momento sembra mancare. Ecco perché, anche sul piano giuridico, limitarsi ad invocare la pace, senza fare nulla per indurla, è una posizione idealista, che tuttavia finirebbe per rafforzare l’aggressore e lasciare sole le vittime. (*Ordinario di diritto penale all’Università di Palermo)