Non si scherza sui morti, anche se non lo stai facendo. È il minaccioso monito lanciato dal “popolo del web” contro Lockdown all’italiana l’ultimo film di Enrico Vanzina ( anche se è il primo da regista dopo la morte del fratello Carlo lo scorso anno), un “cinepanettone” ambientato nel periodo del confinamento per la pandemia di coronavirus. Protagonisti Ezio Greggio, Paola Minaccioni, Ricky Memphis e Martina Stella.

La pellicola uscirà nelle sale a metà ottobre, quindi nessuno l’ha ancora vista, ma il tribunale dei social - organismo in servizio permanente- ha già deciso che è «uno schifo!», «una vergogna!», «un orrore culturale!», «un insulto alle 35mila persone morte per il Covid in Italia!».

Gli è bastato vedere la locandina, pacchiana, boccaccesca, volgare, patinata come sempre nei film dei Vanzina, per emettere la sentenza, che naturalmente non ha appello.

Decine di migliaia di commenti, alcuni violentissimi, altri intrisi di catechismo da “settimana della critica”, quasi tutti unanimi nell’avvolgere il lungometraggio in un simbolico rogo. «Due coppie scoppiate, costrette a restare unite a causa del lockdown. Si ritroveranno?» si legge sull’account Twitter della Medusa la società che distribuisce la pellicola. Cosa c’è di così strano e di così offensivo nell’ambientare un film in un periodo significativo, difficile, drammatico ma anche pieno di risvolti grotteschi come è stato il lockdown della scorsa primavera?

Di fronte alle tragedie della vita una parte dell’essere umano cerca rifugio nella risata sdrammatizzante, è sempre stato così. Che tu sia un celebre regista, uno scrittore o un semplice cittadino impegnato in un flash mob sul suo balcone.

La commedia all’italiana, dai suoi capolavori fino alle pellicole più trash, si è sempre nutrita dell’attualità, deformandolo secondo i suoi codici stilistici. A volte prendendola di punta, altre lasciandola sullo sfondo, come probabilmente sarà nel cinepanettone di Vanzina che, a naso, dovrebbe mettere in scena di coppie e tradimenti più che l’emergenza sanitaria. Se si sono realizzate opere comiche sulle guerre mondiali, sul Vietnam e persino sull’Olocausto, perché mai non si dovrebbe parlare di pandemia?

E a chi dice che ci vuole «distanza» e «tempo» per poter ridere delle tragedie, basta ricordare che Il grande dittatore di Charlie Chaplin è uscito nel 1940, un anno dopo l’invasione della Polonia da parte del Terzo Reich di Adolf Hitler.

L’impressione è che per i giudici dei social le vittime del virus siano poco più che un pretesto, che la vera “colpa” del regista e dei suoi autori è di non essere Billy Wilder ma nemmeno il Roberto Benigni, de La vita è bella, citato in migliaia di edificanti commenti come esempio virtuoso. Di sicuro l’artista toscano è un comico più talentuoso di Ezio Greggio ma la sua regia è piatta e mediocre come quella di qualsiasi cinepanettone.