dura la risposta del governo israeliano all’attentato di domenica a Gerusalemme in cui sono morti quattro soldati israeliani e sedici sono rimasti feriti. Nove persone sono state arrestate ieri nel quartiere a maggioranza araba di Jabel Mukaber, da dove proveniva l’attentatore Fadi al- Qanbar. Cinque degli arrestati sono familiari del ventottenne palestinese, la cui casa verrà rasa al suolo. Le richieste di ricongiungimento familiare dei suoi parenti che vivono a Gaza saranno respinte e la salma di al-Qanbar, ucciso sul posto, non verrà restituita. L’esercito israeliano controlla gli ingressi del quartiere e arresta chiunque manifesti solidarietà ad al- Qanbar o gruppi terroristici. Nel frattempo resta senza fondamenta la ricostruzione di Netanyahu per cui l’attentato, che ha visto il giovane palestinese lanciarsi con un camion su un gruppo di soldati israeliani e fare retromarcia sopra i cadaveri prima di essere abbattuto, «si iscrive sulla scia di Berlino e della Francia». A Jabel Mukaber è apparso un volantino di una sigla sconosciuta, “gruppo del martire Baha Alian”: «Fadi al- Qanbar non era legato ad alcun gruppo fuori della Palestina e l’occupazione mente allo scopo di denigrarci». Non c’è ancora nessuna rivendicazione ufficiale tranne la manifestazione organizzata nella striscia di Gaza e i tweet esultanti di Hamas, tanto che ieri Netanyahu ha fatto marcia indietro: «Si tratta di un nuovo tipo di lupi solitari che decidono di fare un attacco nel momen-È to in cui sono motivati a farlo».

La penetrazione del gruppo Stato Islamico nei Territori Palestinesi non è mai stata provata, ma preoccupa la diffusione dell’ideologia jihadista: «Il picco del sostegno dell’Isis fra i palestinesi è stato nel 2014- 2015 quando era 14% - scrive sul Jerusalem Post l’analista Orit Perlov - e nel 2016 è sceso all’ 8%. Ma ci sono molti simpatizzanti perché se Hamas non è più popolare, devi far parte di qualcosa d’altro». La causa palestinese non è mai stata un trend topic della propaganda dell’Isis che nei 29 comunicati on line dedicati dal maggio 2015, ne ha parlato come una guerra di religione a difesa dei musulmani oppressi dagli ebrei, o ha criticato l’operato di Hamas e dell’Anp, suoi avversari nell’area. La chiamata dell’Isis al jihad gioca più sul terreno settario che sulla rivendicazione territoriale e identitaria. E in effetti i familiari di al- Qanbar lo dipingono come un uomo dalla religiosità «molto conservatrice» che si rivedeva nella corrente salafita dell’Islam. Oppure l’attentato di domenica potrebbe essere conseguenza della sentenza di condanna di Elor Azaria, il soldato israeliano reo di aver ucciso un attentatore palestinese ferito e disarmato. La sen- tenza del tribunale ha scatenato un dibattito in Israele con gran parte della classe politica che chiede la grazia per il soldato. Un dibattito che segue un anno tragico dal punto di vista dei numeri: nel 2016, nell’intifada dei coltelli, i soldati israeliani hanno ucciso 84 palestinesi nell’atto di compiere un attacco e feriti altri 874. L’escalation di violenza va di pari passo con la crisi politica dell’autorità palestinese, sempre più delegittimata sia in West Bank che a Gaza. Dall’altra parte c’è il governo israeliano «più a destra della storia» per dirla con il segretario usa John Kerry, che fa dell’espansione coloniale il suo fiore all’occhiello. La tensione è altissima e la fiducia nella politica, in un momento in cui anche Netanyahu è indagato per corruzione, è ai minimi storici.