Difendersi dalle accuse di Erdogan è sempre più complicato. L'ennesima conferma, al di là di qualche spiraglio, è arrivata lunedì ad Instabul. Dopo cinque mesi di attesa, si è celebrata una nuova udienza del procedimento sui presunti collegamenti con l'Unione delle Comunità del Kurdistan contestati a 46 avvocati, arrestati nel novembre 2011. Per il governo turco il KCK è un'organizzazione terroristica connessa al PKK. I legali curavano la difesa di Abdullah Öcalan e avrebbero trasferito le istruzioni del leader curdo ai suoi sostenitori. Accuse giudicate inconsistenti, dal momento che i colloqui in questione venivano videoregistrati ed avvenivano in presenza delle guardie carcerarie.Il tribunale ha finalmente accolto le istanze degli avvocati, intenzionati ad acquisire informazioni sulle indagini svolte in altri procedimenti penali, a carico proprio dei poliziotti e degli inquirenti che accusano gli avvocati ed avrebbero invece prodotto prove assunte illecitamente, come le intercettazioni telefoniche disposte senza l'autorizzazione dell'autorità giudiziaria. Un punto a favore della difesa, che ha determinato il rinvio del processo al 9 marzo 2017. Roberto Giovene, della commissione internazionale del CNF, può celebrare, almeno parzialmente, il risultato: «Tutti si aspettavano la requisitoria e la richiesta delle condanne. Invece fortunatamente sono state accolte le richieste di approfondimento probatorio. La soddisfazione è però mitigata dalla situazione generale, che vede una grave compressione dei diritti e della libertà, a causa dei provvedimenti presi a seguito dell'entrata in vigore di leggi emergenziali».La corte costituzionale aveva già dichiarato illegittima la Corte speciale che indagava sui 46 avvocati a Silviri. Dopo il verdetto, il processo è stato trasferito innanzi al tribunale ordinario di Istanbul. L'udienza si è svolta in un clima di tensione per l'arresto di Levent Piskin, componente dell'OHD (Avvocati per la Libertà). Nell'atrio del tribunale anche la protesta per i recenti fermi dei giornalisti di Cumhuriyet. Pochi giorni fa l'ultima inaudita decisione del governo, che sfrutta lo stato di emergenza disposto dopo il fallito colpo di Stato dei mesi scorsi. È stata infatti sospesa per tre mesi l'attività dell'OHD e del CHD (Avvocati Progressisti), in prima linea nella difesa dei diritti umani. Una misura che interessa complessivamente 370 associazioni in 39 città, chiuse per i loro presunti legami con l'organizzazione di Fetullah Gulen (FETÖ). Il durissimo giro di vite voluto da Erdogan ha già portato all'arresto di migliaia di persone, alla destituzione dagli incarichi pubblici di chiunque sia sospettato di legami con la Feto, all'arresto di numerosi parlamentari del partito curdo e alla chiusura di giornali, tv e siti web. La situazione è aggravata dall'estensione a 30 giorni del fermo di polizia senza la ratifica giudiziaria, dalla possibilità di sostituire d'autorità il difensore scelto dall'imputato e dalla mancanza di informazioni precise riguardo ai capi d'imputazione, che inducono molti avvocati a rinunciare al mandato.«I legali sono disorientati - racconta ancora Giovene - Vedono minacciata la loro vita e perfino la libertà dei familiari. Finendo sotto processo, non possono neppure assumere altre difese». Non a caso lo scorso 23 settembre il Tribunale regionale tedesco dello Schleswig-Holstein ha negato l'estradizione in Turchia di un imputato per la situazione attuale dei processi, considerata idonea ad integrare gravissime violazioni delle garanzie e trattamenti disumani e degradanti, previsti negli articoli 3 e 6 della Convenzione europea.Unica nota lieta la vicinanza manifestata da numerosi osservatori internazionali. Erano presenti in aula colleghi italiani, francesi, tedeschi e svizzeri, e la delegazione dell'Oiad, l'Osservatorio Internazionale degli Avvocati in pericolo, costituito ad aprile, in cui Giovene era affiancato da Marianne Lagrue del CNB e dal parigino Xavier Autain. Rappresentati in udienza anche le Camere Penali, l'ELDH e gli ordini di Roma, Bologna, Palermo, Messina e Padova. «La presenza in aula ha confortato umanamente i colleghi turchi - rimarca ancora Giovene - Un sostegno necessario, in un contesto spettrale. Si sentono ormai abbandonati a sé stessi: nelle semideserte strade turche non si vedono più europei o americani. Il turismo è in ginocchio, proprio come il diritto».