Mrs. «competence and experience», la definiscono i suoi supporter. Per i detrattori, invece, rimane «la Lady Macbeth di Little Rock», coniato nel 1992 da The American Spectator.Nata Hillary Rodham nel 1947 da una famiglia repubblicana metodista dell’Illinois, laureata in giurisprudenza alla Law School di Yale nel 1973, ha le carte in regola per diventare esattamente ciò che tutti si aspettano: una politica conservatrice. A tredici anni fa da volontaria nella campagna elettorale del 1960 di Richard Nixon e in quella del 1964 di Barry Goldwater. Durante l’università, si iscrive ai Young Republicans. A farle cambiare lato della barricata, però, ci pensa la storia. Secondo quanto lei stessa racconta, a portarla dai democratici non è stato tanto l’amore per Bill Clinton quanto la contrarietà alla guerra in Vietnam. Il matrimonio con il futuro quarantaduesimo presidente degli Stati Uniti viene celebrato nel 1975. Di Bill, Hillary ha detto che «era l’unico che non aveva paura di me», lui ricorda che lei «emanava un incredibile senso di forza». I due si completano: lei gli dà disciplina, lui la umanizza. Una partnership indissolubile, che culmina nella candidatura di Clinton a governatore dell’Arkansas nel 1978. Dopo il matrimonio con rito metodista, la sposa aveva annunciato ai giornali locali che avrebbe mantenuto il suo cognome da nubile, «per tenere separate le nostre due carriere professionali». Una dichiarazione che aveva gettato nello sconforto la madre di Bill che, da brava moglie del sud, sapeva quanto fossero questi dettagli a fare la differenza, in uno stato conservatore. Secondo gli analisti, quel Rodham costò a Bill la rielezione nel 1980. Mrs. Clinton, invece, lo fece vincere nel 1982. «Non sono una donnetta che sta vicino al suo uomo come Tammy Wynette». Hillary lo disse nel 1992, durante la trasmissione 60 Minutes, al conduttore che scavava nelle intime ragioni del perché durasse il suo matrimonio con Bill, senza pietà per il viso sempre più terreo di quella che oggi è la donna più potente d’America. Lo scandalo Lewinsky doveva ancora arrivare, ma già allora Clinton - nel pieno della campagna presidenziale- doveva difendersi dalle accuse di una dipendente, Gennifer Flowers, che sosteneva di avere con lui una relazione da 12 anni. Con buona pace di tutte le cantanti country come Tammy Wynette, con questa frase Hillary rifiutava esattamente lo stereotipo che incarnerà, 6 anni dopo, durante il cosiddetto Year of Monica. Tutta l’America ricorda la compostezza della sua camminata della vergogna a fianco del marito fedifrago, davanti al muro di fotografi. Lui suda e arrossisce mentre giura di non aver avuto una relazione con Miss Lewinsky, lei lo fissa nel suo tailleur giallo chiuso fino all’ultimo bottone, intorno al collo un giro di perle. Hillary è la perfetta rappresentazione della donna tradita ma che sostiene non solo e ben più del suo matrimonio: addirittura l’idea stessa di famiglia, oltre che la Presidenza americana. Senza dubbio, questo è stato il suo capolavoro politico. Secondo un sondaggio del 1996, la First Lady era percepita come «intelligente, ma disonesta». Due anni dopo, durante l’Year of Monica, era diventata «fedele e buona». La Clinton, però, è più di questo: dal 2001 al 2009 è stata eletta per due mandati consecutivi senatrice dello stato di New York, la prima nella storia dello Stato. Come Segretario di Stato di Obama ha volato più di un milione di miglia e visitato 112 paesi. Oggi, il sogno di tornare alla Casa Bianca, ma da Presidente. Gli americani non hanno dubbi sulla sua preparazione: Hillary conosce Washington e i suoi equilibri come nessuno. In questi anni di crisi, il sentimento collettivo va in una direzione precisa: gli elettori vogliono un Presidente che risolva i problemi. E Hillary Clinton ha tutte le carte in regola.