Ora tutti prendono le distanze da Matteo Renzi. Da Walter Veltroni a Romano Prodi, passando per Gianni Cuperlo e un inedito Dario Franceschini in versione critica. A pesare sul giudizio negativo nei confronti del leader non è solo la sconfitta elettorale in sé, ma l’analisi insufficiente dei motivi della debacle.

Per il segretario ad aver perso è l’idea che il Pd sia più competitivo se coalizzato con i partiti della sinistra. Ma per i suoi avversari interni è colpa di una ledership «divisiva».

Ora tutti prendono le distanze da Matteo Renzi. Da Walter Veltroni a Romano Prodi, passando per Gianni Cuperlo e un inedito Dario Franceschini in versione critica. A pesare sul giudizio negativo nei confronti del leader non è solo la sconfitta elettorale in sé, ma l’analisi insufficiente dei motivi della debacle. Per il segretario del Pd, infatti, le cause della disfatta andrebbero ricercate nelle «continue esasperanti polemiche nel centrosinistra che alla fine non fanno al- tro che agevolare il fronte avversario». Secondo Renzi ad aver perso è l’idea che il Pd sia più competitivo se coalizzato con i partiti della sinistra «Sconfitto io? Non mi pare proprio», dice in un colloquio con QN. «Si conferma la tesi che i migliori amici del Berlusca sono i suoi nemici. È stato infatti ancora una volta dimostrato che quelli che invocano una coalizione di centrosinistra larga il più possibile fanno il gioco del centrodestra, e non del Pd». Il leader dem non fa nomi, ma tra i bersagli della sua polemica c’è anche Romano Prodi, il “padre” del partito che a lungo si è battuto per evitare una rottura nel campo del centrosinistra, sostenendo il progetto, inizialmente unitario, di Giuliano Pisapia. «Leggo che il segretario del Partito democratico mi invita a spostare un pò più lontano la tenda», replica nel pomeriggio il Professore. «Lo farò senza difficoltà: la mia tenda è molto leggera. Intanto l’ho messa nello zaino». La minaccia di un allontanamento definitivo dell’ex capo dell’Ulivo manda in agitazione il quartier generale del Nazareno. Matteo Richetti, Lorenzo Guerini e Graziano Delrio provano a disinnescare l’ordigno sminuendo l’accaduto. Ma è troppo tardi, il timer è stato azionato. E la prima esplosione arriva inattesa, perché a brillare è Dario Franceschini, capo corrente di peso della maggioranza renziana. «Bastano questi numeri per capire che qualcosa non ha funzionato? Il Pd è nato per unire il campo del centrosinistra non per dividerlo», scrive su Twitter, pubblicando il grafico dei risultati del Pd a Genova, Parma, Verona e l’Aquila dal 2012 a oggi, in cui si nota una sostanziale flessione del partito. Il post di Franceschini suona come un’ultima chiamata per il segretario: senza sostegno del ministro della Cultura, Renzi rischia di ritrovarsi completamente isolato. Perché ormai tutti nel Pd parlano apertamente di un leader divisivo, incapace di ascoltare gli altri, persino dopo l’ennesima batosta elettorale. «Quella di Prodi è una dichiarazione dolorosa per chi ha a cuore la sorte del Pd e del centrosinistra e ha avuto a cuore in passato l’Ulivo», dice Gianni Cuperlo. «C’è bisogno di leadership che uniscono e Renzi sembra caratterizzarsi ancora una volta come colui che divide». Ma se il giudizio di Cuperlo non stupisce, a far rumore è un’intervista di Walter Veltroni a Repubblica.

«A Renzi ho sempre riconosciuto che la sua ispirazione di fondo somigliava a quella del Lingotto», dice il primo segretario del Pd. «Ma ora, e gliel’ho detto con sincerità, faccia a faccia, gli consiglio di cambiare passo, serve una nuova stagione». Più che un consiglio suona come una minaccia, ma Renzi non sembra voler fare marcia indietro.