Non sapevo giocare a pallone, per questo mi sono dato alla politica, motteggia Matteo Renzi. Però gli deve essere rimasta la passione per l’X-2: predilige il pareggio o la vittoria fuori casa; caratteristica che infatti ha importato nell’attività di leader del Pd e presidente del Consiglio. Basta soffermarsi sulle sue mosse, sull’attenzione che massimamente dimostra per i consensi che arrivano da fuori del recinto Democratico; per il fervore con cui semina diserbante per gli avversari interni mentre vellica con sollecitudine i voti “fuori casa”. Perché fa così? E soprattutto: funziona?Che il Pd com’è gli piaccia assai poco Renzi non solo non lo nasconde bensì lo proclama: nelle interviste e anche nei dibattiti in Direzione. Spiega che chi non vota Pd e si rivolge, per esempio, ai Cinquestelle lo fa perché finora il partito lui l’ha cambiato non troppo ma troppo poco. E dunque, per compiere fino in fondo l’opera, Matteo assicura di voler usare il lanciafiamme. Del resto quelle che gli piovono addosso non sono critiche nuove e già in tanti nei due anni e mezzo di sua permanenza a palazzo Chigi si sono esercitati sul fatto che l’obiettivo finale del premier è tagliare le residue radici di quel ramoscello che si ostina a far capolino nel simbolo per dare vita al PdR, il partito di Renzi totalmente modellato a sua immagine e somiglianza.Ma questo schema funziona? E che c’entra l’X-2? Diciamo che finora ha funzionato alla grande. Fin da subito, infatti, Renzi ha avuto chiaro che stare rinchiuso nel perimetro del 30 per cento che da sempre accerchia la sinistra non lo avrebbe portato lontano. Di qui l’attacco al voto moderato, l’azione politica volta a strappare a Silvio Berlusconi i consensi di una fetta del suo mondo. Alle Europee è andata benissimo: superare la soglia del 40 per cento non era mai successo a nessuno. Neanche a Berlinguer, per intenderci. Il piano si è completato con la rottamazione dei vecchi dirigenti, da D’Alema a Prodi a Bersani, e con i fendenti a raffica indirizzati alla minoranza del Nazareno. X-2 appunto: delegittimazione del confronto interno relegato alla stregua di passatempo che appassiona gufi e rosiconi; incursioni in contropiede per fare bottino in campo avverso. Modulo vincente non si cambia. E infatti il presidente del Consiglio lo ripropone anche in questi giorni. Il vero problema, spiega, non è l’alleanza con Verdini, cui assegna al massimo un buffetto, bensì la guerriglia interna che gli muove la sinistra dem. Di qui, la promessa di ricorso al napalm.Vale a maggior ragione per l’appuntamento più importante: il referendum costituzionale di ottobre. Anche in questo caso è X-2. Da un lato, anatema alla minoranza ed in special modo a chi contesta i banchetti del Sì sparsi per l’Italia e nelle feste dell’Unità. Dall’altra, spallucce nei riguardi dell’emorragia di consensi che ha colpito il Pd nella tornata amministrativa e che minaccia di intristire le facce dei candidati sindaci nonché escludere i Democrat dalla guida delle principali città italiane. Ciò che conta davvero sono i voti “esterni”, di protesta. Quelli, per intenderci, di Lega e grillini che, taglia corto Renzi, grandineranno sul Sì perché chi è stanco del passato, chi vuole davvero cambiare il Paese non ha che una scelta: accettare la riforma proposta dal governo. Vale per la Costituzione; vale ancor più per la legge elettorale. L’Italicum non si tocca, il premio di maggioranza dato alla coalizione invece che alla lista è una bestemmia e se in questo modo si spiana la strada a Di Maio o a qualunque altro candidato premier pentastellato, pazienza: è la democrazia, bellezza; il Moloch della modernizzazione istituzionale richiede il sacrificio del destino politico personale.Chissà. Può essere che il 4-X-2 di Renzi sia la disposizione migliore per conquistare la metà campo avversaria. Però può anche capitare che il caso ci metta becco. Per esempio può succedere che il vecchio leone del fronte opposto, le cui fattezze politiche in molti ritengono di scorgere nel leader pd, si ammali ed esca, seppur momentaneamente (è l’augurio di tanti), di scena. Allora il pericolo che è la rottamazione divori anche chi ne detiene il copyright. Fuor di metafora: può accadere che con Berlusconi giocoforza costretto a bordo campo o addirittura in tribuna, il voto moderato, invece di dividersi tra vecchia appartenenza forzista e nuova destinazione sul giovane inquilino di palazzo Chigi, tracimi verso altri lidi: quelli dell’astensione o, perniciosamente, dei partiti che Renzi lo preferiscono in fotografia formato tessera ben sistemato nell’album dei ricordi.O ancora peggio. Non è certo un caso bensì il frutto di un preciso calcolo, il fatto che il premier abbia fin qui continuato ad accreditare proprio il centrodestra a trazione berlusconiana quale vero competitor al momento delle elezioni politiche. Lo fa per delegittimare i Cinquestelle. Ma magari, così spargendo un pizzico in più di malizia, lo fa perché ritiene che il candidato premier berlusconianamente sponsorizzato o additittura clonato, sia più facilmente battibile di un avversario pentastellato. Se però l’esercito di Arcore si trasforma in drappelli sparsi con lo sguardo rivolto al tramonto, l’intero schema va ripensato. Con Grillo nessun Nazareno - piccolo, grande, nazionale, locale - è possibile. Con i Cinquestelle sì che nello scontro elettorale va usato il lanciafiamme. A patto che non si sia scaricato causa il superlavoro entro le mura di casa.