Vengono trattenuti in una sorta di dispositivo galleggiante e fatti stare per il periodo di quarantena successivo allo sbarco in Italia. Sono le cosiddette navi quarantena, “create” due anni fa, all’inizio pandemia, per segregare, di fatto, i migranti. Numerose sono le criticità e da tempo è cresciuta l’insofferenza da parte della Croce rossa che aveva ventilato la possibilità di lasciare le navi quarantena. Le associazioni che si occupano dei diritti umani hanno lanciato un appello al governo affinché ponga fine a questo sistema di isolamento e adotti procedure che garantiscano la sicurezza, il diritto di asilo, la libertà personale e un’accoglienza degna delle persone in arrivo sul territorio italiano.

IL DISPOSITIVO SUL MARE

La nave quarantena, di fatto, è un dispositivo che sembra poggiare su un discorso di salute pubblica e di emergenza per legittimare un rafforzamento del contenimento e dell’isolamento dei migranti in transito. A seguito della dichiarazione dello stato di emergenza per l’insorgere della pandemia e del successivo decreto interministeriale con cui le autorità italiane hanno chiuso i porti alle navi da soccorso, il 12 aprile 2020 il Dipartimento di Protezione Civile ha adottato un provvedimento per l’utilizzo di navi per lo svolgimento del periodo di quarantena delle persone salvate in mare. Queste misure di emergenza prevedono che, dopo il passaggio nell’hotspot di Lampedusa - dove si svolgono le procedure di identificazione e si effettua un primo screening sanitario - le persone straniere vengano sottoposte al periodo di isolamento nelle navi quarantena o, per alcune eccezioni - vulnerabili e minori stranieri non accompagnati (Msna) - nei centri per la quarantena adibiti all’interno di Cas, Cara, hotspot.

Come detto, alcune associazioni (tra le quali l’Asgi e LasciateCIEentrare) lanciano un appello per chiedere procedure di la tutela della salute di tutte le persone, che non contemplino navi quarantena e che non diano luogo a trattamenti differenziati nei confronti dei cittadini stranieri , garantendo che le persone migranti in arrivo trovino immediata accoglienza e, in caso di positività, anche cure adeguate. Sottolineano che la tutela del diritto alla salute individuale e collettiva va garantita con altre misure che in primo luogo assicurino il rispetto dei diritti fondamentali delle persone in arrivo.

ANCORA ATTIVE DOPO DUE ANNI

Sono trascorsi quasi due anni dall’istituzione delle navi quarantena e, nel tempo, sono emerse gravi criticità, confermate dagli stessi operatori della Croce Rossa. Per le associazioni firmatarie dell’appello le problematicità sono molteplici: ostacoli posti all’accesso alla richiesta di protezione internazionale in linea di continuità con le prassi attuate in frontiera in tempi precedenti alla pandemia; assenza di garanzie in materia di privazione della libertà personale; carenza dei servizi; periodi di permanenza immotivatamente lunghi; inadeguatezza della situazione igienica; permanenza a bordo di minori stranieri non accompagnati e persone in condizioni di vulnerabilità. Di fatto, le procedure non sono sostanzialmente mutate in questi mesi, permanendo gravissimi profili di criticità con riferimento al rispetto dei diritti delle persone in arrivo sul territorio.

Le associazioni si rivolgono al governo, al ministero dell’Interno e della Salute e agli altri soggetti coinvolti perché pongano fine al sistema delle navi quarantena ed adottino procedure che garantiscano la sicurezza, il diritto di asilo, la libertà personale e l’accoglienza degna delle persone in arrivo sul territorio italiano. Denunciano che l’istituzione delle navi quarantena costituisce «una prassi, di natura discriminatoria, che pone in essere una grave violazione dei diritti fondamentali dei cittadini/ e stranieri/ e ad essa sottoposti, primo fra tutti il diritto alla salute, come dimostrano le tante testimonianze di migranti e operatori e operatrici a bordo delle navi e come racconta la morte di Bilal Ben Massaud, Abou Diakite e Abdallah Said».

DISPARITÀ DI TRATTAMENTO

Quella delle navi è una misura che appare tanto più discriminatoria se letta alla luce della recente ordinanza del ministero della Salute del 22 febbraio 2022 che in materia di ingresso sul territorio nazionale di persone provenienti da paesi esteri, siano essi cittadini italiani o stranieri, prevede che solo in assenza di specifica documentazione sia previsto un periodo di cinque giorni di quarantena. Ecco perché, sotto tale punto di vista, si accentua ulteriormente l’irragionevole disparità di trattamento, laddove le procedure attuate nei confronti dei cittadini stranieri in arrivo via mare, differiscono in maniera lampante dalle misure a cui sono sottoposte gli stranieri giunti in Italia con altri mezzi.

Accade che le persone rimangono in una condizione di fortissimo isolamento senza accesso immediato al territorio e senza che sia garantito un accesso pieno e adeguato alle informazioni in merito ai propri diritti e al modo in cui esercitarli; senza che sia garantita una adeguata tutela legale attraverso personale specializzato; senza che sia garantita effettiva tutela ai soggetti in situazioni di vulnerabilità e l’accesso a servizi specialistici.

«La necessaria preoccupazione di tutelare il diritto alla salute individuale e collettiva va garantita con altre misure che in primo luogo garantiscano il rispetto dei diritti fondamentali delle persone in arrivo e che, inoltre, non comporterebbe costi maggiori delle navi quarantena che, oltretutto, vengono utilizzate con criteri non sempre trasparenti, chiari ed efficienti», viene sottolineato nell’appello rivolto al governo.

Per questo le associazioni firmatarie osservano che appare opportuno stabilire procedure per la tutela della salute di tutte le persone, che non contemplino navi quarantena e che non diano luogo a procedure differenziate nei confronti dei cittadini stranieri e, garantendo che le persone migranti in arrivo trovino immediata accoglienza e, in caso di positività, anche cure adeguate. In questa fase, va in ogni caso garantita la possibilità di esercizio del diritto di asilo, consentendo l’accesso a mediatori culturali e Ong, del diritto alla libertà personale e del diritto di difesa.

A due anni dallo scoppio della pandemia, le associazioni affermano che non hanno alcuna giustificazione misure d’emergenza lesive della dignità delle persone e dell’accoglienza, che costituiscono un ulteriore passo in avanti nell’evoluzione e amplificazione dell’approccio hotspot e delle violazioni da esso derivanti, con conseguenze gravi sulla vita delle persone coinvolte. «Per questo chiediamo al Governo la definitiva chiusura del sistema delle navi quarantena e l’adozione di procedure di accoglienza delle persone migranti all’altezza dello standard umanitario di un paese che “si dichiari” luogo di tutela del diritto d’asilo e dei diritti fondamentali delle persone tutte», conclude l’appello.

Ricordiamo che, attualmente, le navi da crociera usate per la quarantena, noleggiate dal ministero delle Infrastrutture da Gnv Spa e Moby Spa, gravitano attorno ai porti di Lampedusa, Porto Empedocle, Palermo, Trapani, Augusta e Catania. Migranti tenuti segregati in uno spazio “fuori” separato dal territorio. E accade che la condizione di salute possa aggravarsi durante la permanenza in queste navi. Così com’è accaduto con Bilal Ben Massaud e i minori Abou Diakite e Abdallah Said. Morti altrove, ma erano passati prima tramite questi “confini galleggianti”.