Una tavola rotonda virtuale con tre persone che danno un giudizio negativo sulla “riforma Nordio” dell’ordinamento giudiziario. Tre personaggi che sono stati importanti nel loro ruolo di toghe della pubblica accusa e che sono tuttora autorevoli nei loro pareri di “saggi e competenti”.

Sono, in ordine alfabetico, Edmondo Bruti Liberati, già procuratore capo a Milano e capo del sindacato, il suo omologo palermitano e torinese Gian Carlo Caselli, e Cuno Tarfusser, che è stato anche procuratore alla Corte Penale dell’Aja. Tre giudizi ugualmente negativi, e gli argomenti non brillano per originalità, il che potrebbe predisporre a voltare pagina con un sospiro di malcelata noia. Non sarà così, per fortuna nostra e di chi ci legge. Perché uno dei tre deciderà di sparigliare. E’ l’ex magistrato Cuno Tarfusser, che nel marzo scorso, da sostituto procuratore generale di Milano, era stato promotore di una richiesta di revisione del processo ai due condannati per la strage di Erba, Rosa Bazzi e Olindo Romano.

Iniziativa che non porterà a risultati processuali, con la conferma delle condanne, e frutterà anche una censura per il magistrato, che pochi mesi dopo, nell’agosto, andrà in pensione. Lo abbiamo anche incontrato di recente e, stuzzicato sulla separazione delle carriere, lui che mostra di apprezzare il sistema anglosassone del Common Law, aveva risposto «Si, ma non così».

Nei giorni scorsi su un blog si era dichiarato scisso tra Sodoma e Gomorra, cioè tra il votare SI a «una pessima riforma» piuttosto che scegliere il NO «favorendo l’immobilismo a un sistema giudiziario indegno di questo nome». Lo abbiamo messo intorno a questa virtuale tavola rotonda, organizzata dalla lettura su uno stesso quotidiano di ieri, La Stampa, che ha pubblicato un’intervista al procuratore Bruti Liberati e un intervento di Giancarlo Caselli con Vittorio Barosio. L’uscita del dottor Tarfusser sui social è precedente, ma le diverse “bestemmie” dei sostenitori del NO cui lui dà risposta, sono un contraltare perfetto per demolire anche gli argomenti posteriori dei suoi ex colleghi. Prendiamo la “cultura della giurisdizione” del pm, argomento- base della campagna del NO. Ne parla il dottor Caselli, addirittura paventando che un Csm di soli pubblici accusatori sarebbe “pericoloso”.

Sentiamo come demolisce l’argomento Cuno Tarfusser: «E’ una bestemmia. Se mai quella “cultura” l’ha avuta, l’ha persa al più tardi da quando esistono le chiavette Usb e il copia e incolla con cui carabinieri, polizia e guardia di finanza si sono impadroniti anche del ruolo del pubblico ministero che, da controllore della polizia giudiziaria, ne è diventato il passacarte».

Questa è vita quotidiana. E chiunque, a partire da noi giornalisti, abbia confidenza abituale con atti giudiziari fino a sfociare nelle ordinanze dei gip, sa che è troppo spesso proprio così. Dalla relazione dell’ufficiale di pg, passando per le mani del pm per arrivare a quelle del gip e alla pubblicazione dell’ordinanza, tutto pare uguale, spesso lo stesso testo con le stesse parole. Altro che cultura della giurisdizione, altro che timore del “pm poliziotto”!

Se passiamo all’altro argomento- base, collegato al primo, dei sostenitori del NO, quello che obbliga il pm a raccogliere anche prove in favore dell’indagato, siamo alla seconda “bestemmia” del piccone di Tarfusser. «Infatti - scrive- gli operatori del diritto sanno che questa norma - l’articolo 358 cpp, che pure esiste- è sistematicamente violata dai pm e che la violazione non è sanzionata, come ha recentemente confermato la Corte di cassazione (es. sentenza n. 32938/ 2025), creando l’ossimoro della “legittima violazione di legge”». Di nuovo esperienza quotidiana, ricordi di comportamenti diffusi, visti da un collega. Ma c’è ancora l’argomento più forte di tutti, agli occhi del cittadino elettore, cui viene raccontato che si sta vigilando perché il mondo della politica non metta le grinfie sulle toghe. Quello del rischio della sottoposizione della pubblica accusa al volere del governo è però anche l’argomento più perdente, perché falso, come dimostra l’articolo 104 della Costituzione secondo la nuova riforma. Edmondo Bruti Liberati affronta il punto con una certa cautela, sa di non potersi avventurare sul terreno della bugia smaccata. Si limita alle previsioni, alla logica del sospetto. «Oggi con questa riforma si innesca una tendenza - dice- che non avrà effetto immediato, ma inevitabilmente, non domani, forse non dopodomani, ma alla fine porterà al controllo del governo sui pubblici ministeri».

Il che non scandalizza certo il suo ex collega Tarfusser. Il quale, forse anche per la sua cultura poco nazionalistica (tra l’altro parla anche correntemente altre tre lingue), la sua esperienza alla CPI e il confronto con Stati che hanno ordinamenti diversi da quello italiano, manda a dire parole molto chiare. “Sentir dire che con la riforma a carriere separate il pm perderà autonomia e indipendenza perché sarà sottoposto al potere politico, quasi fosse l’anticamera della dittatura, è un’assurdità». E cita gli «Stati di diritto che ci circondano (Germania, Francia, Austria, Olanda, Spagna, Portogallo…)», in alcuni dei quali la pubblica accusa risponde al ministro della giustizia senza che questo significhi che si tratti di Paesi totalitari.

Oltre a questi spunti della tavola rotonda virtuale, naturalmente le riflessioni sono più ampie. Anche di tipo politico. Edmondo Bruti Liberati teme che i promotori della riforma, e in particolare gli esponenti del governo e lo stesso ministro Carlo Nordio in realtà nascondano dietro la legge «l’insofferenza verso il sistema dei controlli». E Giancarlo Caselli ci ricorda che «non è corretto sostenere che questa legge è stata fatta per migliorare la giustizia».

Cuno Tarfusser non ci sta. Non si rivolge a loro, ma, pare, forse più al sindacato delle toghe, quando rimprovera «mai, dico mai, un’ammissione di colpa, mai un passo indietro, mai una proposta di riforma accettabile». E definisce «questa» magistratura come «arrogante, autoreferenziale, debordante, gestita in maniera sovietica dalle correnti che sono le metastasi…». Così, si torna al dilemma tra Sodoma e Gomorra. Dire SI a una riforma che non piace, anche se le ragioni del NO sono “bestemmie”? Quasi quasi…