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Putin
Nelle carte dell’inchiesta sulla corruzione in Ucraina, riguardante alcuni esponenti del governo, si fa spesso riferimento ad un personaggio soprannominato “Ali Babà”. Molto probabilmente si tratta di Andriy Yermak, potente capo di gabinetto di Zelensky fino a pochi giorni fa. L’agenzia di contrasto alla corruzione (Nabu) e la procura specializzata anticorruzione (Sapo), organismi che Zelensky ha tentato di smantellare qualche mese fa, hanno scoperto un vero e proprio sistema criminale. Al centro l’azienda statale per l’energia nucleare Enerhoatom.
Ex ministri, manager, imprenditori e colletti bianchi esigevano sui contratti di Enerhoatom mazzette che andavano dal 10% al 15% per un giro d’affari tra i 75 e i 100 milioni di euro. Somme da capogiro che circolavano in contanti, nelle custodie dei computer portatili e nelle più classiche valigette 24 ore. Le tangenti ucraine hanno offerto l’assist alla Russia per andare all’attacco, sottolineando il malaffare imperante a Kyiv nella cerchia di Volodymyr Zelensky, senza tralasciare le colpe dell’Europa. Quest’ultima con i finanziamenti all’Ucraina farebbe una doppia figura barbina: alimenterebbe la corruzione e fornirebbe risorse che prendono altre strade senza alcun controllo.
Ma la Russia può pontificare quando si parla di corruzione? A Mosca da oltre un ventennio agiscono personaggi dalla condotta tutt’altro che specchiata. L’Atlantic Council in un’analisi dello scorso anno a firma di Francis Shin ha rilevato che «la corruzione è da tempo un'arma prediletta nell’arsenale di Vladimir Putin». La particolare arma è stata usata ampiamente contro l’Ucraina per diversi anni, «contribuendo a preparare il terreno per l’invasione su vasta scala del febbraio 2022» e per indebolire l'Europa con le sue istituzioni democratiche. La piaga della corruzione ha strangolato e strangola la Russia, erodendo il sistema finanziario, le forze dell’ordine, il sistema educativo, la sanità pubblica e altri servizi amministrativi attraverso la distribuzione delle più classiche tangenti, l’appropriazione indebita e il nepotismo.
Al vertice della piramide Putin, considerato un cleptocrate che si è avvalso di fedeli sostenitori per arricchirsi in maniera spropositata. L’oppositore Alexei Navalny, morto nella colonia penale “Polar wolf” nel febbraio 2024, ha denunciato il sistema perverso messo in piedi da Putin, accusato di «succhiare il sangue della Russia» attraverso un sistema feudale instaurato al Cremlino. La “Fondazione anticorruzione” di Navalny ha permesso di fare luce su una serie di lucrosi affari dello zar Vladimir. Nel documentario di qualche anno fa, “Il palazzo di Putin”, visto da oltre 25 milioni di persone su YouTube, è stata mostrata la proprietà riconducibile al presidente russo. Un complesso immobiliare nella località turistica di Gelendzik, sul Mar Nero, del valore di 1,4 miliardi di dollari, realizzato «con la più grande tangente della storia», ufficialmente donazioni di oligarchi fatte confluire in uno speciale conto offshore svizzero di una società registrata in Belize.
Nell’ultimo rapporto di Transparency International la Russia è collocata al 154° posto (su 180 Paesi) nella classifica relativa all’indice di percezione della corruzione nel mondo. La cosiddetta “grande corruzione” in Russia coinvolge funzionari di alto livello, riguarda transazioni finanziarie su larga scala, l’appropriazione indebita di fondi statali, il pagamento di tangenti in riferimento a importanti contratti; ha consentito altresì l’arricchimento illecito attraverso la privatizzazione di beni statali.
Se andiamo indietro nel tempo, balzano all’attenzione diversi casi di “grande corruzione”. Mikhail Khodorkovsky è stato l’amministratore delegato del colosso petrolifero Yukos. Durante il suo mandato, non risparmiò critiche al Cremlino e agli oligarchi, denunciando alcuni fenomeni di corruzione e le ingerenze della politica nella gestione della compagnia petrolifera.
Nel 2003 le prime accuse nei confronti di Khodorkovsky, come quella di non aver pagato 28 miliardi di dollari di tasse. Il top manager fu arrestato e inviato in una colonia penale. I suoi beni del valore di diversi miliardi di dollari furono venduti e la Yukos fu smembrata con gli asset più importanti assegnati alla compagnia di Stato Rosneft.
C’è poi il caso dell’avvocato Sergei Magnitsky, il quale scoprì nel 2008 un’enorme frode fiscale con il coinvolgimento di funzionari governativi, responsabili della sottrazione di 230 milioni di dollari dalle casse statali. La denuncia di Magnitsky invece di essere presa in considerazione fu la causa del suo arresto. L’avvocato morì in carcere. Il suo sacrificio non fu però vano. Il “Magnitsky Act”, approvato negli Stati Uniti nel 2012 durante la presidenza Obama, venne concepito per perseguire con sanzioni ad personam i responsabili di reati di corruzione e di gravi violazioni dei diritti umani. Non mancano altre vicende legate a giri di soldi e morti misteriose.
Per esempio Roman Starovoit, ex ministro dei Trasporti, è stato trovato morto nella sua auto a luglio poche ore dopo la rimozione dall’incarico ministeriale. Il nome di Starovoit circolava in una indagine per corruzione per alcuni lavori nella città di Kursk. Il manager petrolifero Andrei Badalov, 62 anni, è morto nello scorso luglio dopo un volo dal suo appartamento di Mosca. Natalia Larina, già giudice del tribunale distrettuale Tagansky di Mosca, è morta misteriosamente nel giugno 2024. Si occupò di alcuni processi legati a crimini violenti, compreso uno a carico di un funzionario del ministero dei Trasporti.


