«Non faccio né l’affarista né il lobbista». L’ex presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, parla al Corriere della Sera dello scandalo Qatargate e prova a fare chiarezza rispetto al suo lavoro di consulente, più volte tirato in ballo in questi giorni come esempio di porte girevoli tra la politica e l’attività di lobbying. «Da diversi anni ho un’attività di consulenza prima

di avviare la quale, è agli atti, ho scritto al segretario Speranza

una lettera di dimissioni dagli organismi dirigenti di Articolo 1.

Non ci sono nel mio caso porte girevoli; ma diverse stagioni nella vita che devono essere scandite da un rigido principio di incompatibilità. Io le ho scandite, diciamo», spiega D’Alema. Che su Panzeri e Cozzolino, i due volti finiti al centro delle vicende qatariote, dice: «Sono persone che conosco da anni e che ho stimato. Nel caso di Panzeri parliamo dell'ex segretario della Camera del Lavoro di Milano. Una figura con una storia sindacale importante alle spalle, non certo l'assistente di D'Alema», argomenta l’ex premier Sul Qatargate, «le persone coinvolte hanno una storia tale per cui non si può che rimanere colpiti e addolorati. Non trovo però accettabile che si prenda questa vicenda e la si usi come una clava per demolire una storia e una classe dirigente, facendo confusione tra cose che sono totalmente non assimilabili tra loro», sottolinea l’ex presidente del Consiglio, che conclude: «Non avrei mai potuto sospettare una cosa del genere e infatti la trovo un’indecenza, che merita una riposta ferma in difesa del Parlamento europeo. Devo dire che ho molti dubbi sul fatto che questo tipo di pressioni abbia impedito all’Europa di prendere le sue decisioni. Comunque sia, anche soltanto il tentativo di condizionare le istituzioni attraverso un’opera corruttiva è inaccettabile»