Renzi pranza con l'eurocommissario Gentiloni, dopo anni di gelo e subito parte in quarta la voce di una possibile, anzi probabile manovra per trasferire il conte ex premier da Bruxelles al Colle. Marcuccci, ex capogruppo Pd al Senato con il cuore in buona parte ancora renziano, raccoglie, rilancia, ufficializza: «Il nome è ottimo a anche una donna... Comunque Draghi resti a palazzo Chigi».

Ventiquattr'ore prima ha fare notizia, nel girone corsa per il Colle, era stato Berlusconi, parlando in realtà di tutt'altro: «Gli importi finiti ai furbi che non ne avevano diritto sono davvero poca cosa rispetto alle situazioni di povertà che il reddito è andato finalmente a contrastare». Parigi val bene una messa e il signore d'Arcore ha bisogno dei voti 5S per raggiungere il Quirinale.

I due fatterelli sono strettamente collegati e non solo per il motivo più ovvio, riguardando entrambi la difficile scelta del successore di Mattarella, al quale tocca ormai confermare ogni volta che prende la parola la sua indisponibilità a ricandidarsi. Per quanto si sgoli da quell'orecchio il Pd è sordo e infatti, anche dopo le parole che suonavano definitive delle settimane scorso, il Nazareno insisteva nel considerare il bis ancora possibile e provvidenziale. E' possibile che dopo l'ennesima dichiarazione la faccenda sia risolta ma non è detto.

La candidatura Gentiloni in realtà era già spuntata da un pezzo. Per qualche giorno si era parlato ovunque il mese scorso, poi il sipario era calato di colpo e i sussurri erano ammutoliti. Perché Gentiloni commissario europeo all'Economia è una figura chiave nella delicata vicenda dei rapporti tra Roma e Bruxelles, che nei prossimi mesi diventerà di vitale importanza. Il suo trasloco non implicherebbe la sostituzione con un altro italiano, la casella sarebbe per l'Italia persa e tanto dovrebbe bastare a mettere la candidatura per il Quirinale del commissario fuori gioco. Ma anche se così non fosse resterebbe, imponente come un micidiale iceberg, Silvio Berlusconi.

I politici, il cui senso della realtà lascia spesso a desiderare, tendono a considerare la candidatura del Cavaliere, se non proprio una boutade, certo una mossa decisa senza reali speranze di farcela, con il solo obiettivo di acquistare forza contrattuale per avere poi voce tonante al momento di giocare la vera partita. Non è così, e se non bastasse la conoscenza del modus operandi del fondatore di Fi, la giravolta davvero clamorosa sul Reddito di Cittadinanza dovrebbe rivelarlo a tutti. Berlusconi corre per vincere. Se sarà costretto, molto malvolentieri, a ritirarsi lo farà dettando le condizioni.

La scalata al Colle, si sa, si articola in due fasi diverse. Nella prima, limitata alle tre votazioni iniziali, per essere eletti occorre la maggioranza qualificata pari a due terzi degli aventi diritto: 703 voti. A partire dalla quarta basta la maggioranza semplice: 503. Per evitare la battaglia che tutti in realtà temono bisogna mettere in campo subito un candidato in grado di essere eletto da tutti o quasi. Di fronte a un nome di tale caratura e con un consenso più o meno unanime Berlusconi si rassegnerebbe. Ma può essere Paolo Gentiloni questo candidato? E' lecito dubitarne fortemente.

Senza un candidato eletto sulla base di un accordo generale subito, probabilmente già alla prima votazione, Berlusconi combatterebbe con le unghie e con i denti e lo farebbe per arrivare alla presidenza, non per limitarsi a decidere chi ci arriverà. La destra tutta, sulla base di calcoli di varia natura, finirebbe per appoggiarlo. Accetterebbe di passare la mano per far posto a Gentiloni? Anche in questo caso dubitarne molto è inevitabile. Certo, se dovesse non farcela a più riprese il Cavaliere dovrebbe per forza fare un passo indietro ma molto difficilmente Fi, e a maggior ragione Lega e FdI, farebbero passare un candidato davvero gradito alla sinistra e al Pd come Gentiloni.

Tutto è possibile nella roulette del Colle, ma prima che la pallina inizia a girare vorticosamente il Pd farà il possibile per evitare che la giostra parta individuando un possibile candidato da eleggere entro le prime tre votazioni, con un accordo largo. Al momento ce n'è uno solo, Mario Draghi, ma le settimane che mancano saranno spese da molti proprio a verificare la possibilità di convergere su un altro nome, magari quello di una donna.