Il retroscena
Tajani, leader di Forza Italia
L a rabbia e l’orgoglio di Antonio Tajani, per chi lo conosce dal 1994, da quando cioè era il portavoce del premier Silvio Berlusconi, un porta-silenzi che diplomaticamente e un po’ acrobaticamente conviveva con l’altro portavoce di tutto il governo, il più effervescente Giuliano Ferrara, sono andati già in onda domenica scorsa nel suo saluto dal palco di Fdi, alla festa di Atreju.
Il discorso del solitamente low profile “Antonio” ha messo in campo una voce più alta di qualche decibel e con un tono molto più appassionato del solito. L’applausometro di FdI, dei giovani soprattutto, si è impennato. Il solitamente per alcuni “troppo calmo” Tajani, se non al cloroformio stile vecchia Dc, si è trasformato in un Antonio di lotta al posto di quello di governo, da capo della Farnesina. Ha sottolineato anche che lui si sente «a posto con la sua coscienza», «poi gli altri dicano quello che vogliono». Molto difficile non immaginare che quel discorso avesse in realtà come primo destinatario Pier Silvio Berlusconi, tornato alla carica nella richiesta di “volti nuovi” in Forza Italia, pur naturalmente ringraziando Tajani e la sua squadra «per l’ottimo lavoro».
Berlusconi junior ha risposto a domande precise dei cronisti. Ma quella sua richiesta di volti nuovi ormai a Tajani e ai suoi fedelissimi suona come un refrain, come il titolo dello storico concorso canoro tv “Castrocaro, voci nuove”. Slogan che nel caso di un imprenditore televisivo ci sta tutto. Ma stride con la storia dell’uomo venuto da un altro mondo, quello della politica, militante monarchico in gioventù e per questo pure preso a botte nel suo Liceo Classico, il romano Tasso, da quelli di Lotta Continua. Ma il punto è che Tajani, ferito nell’orgoglio di chi ha platealmente smentito l’ennesimo non azzeccato game over pronunciato da Matteo Renzi, non solo ha mantenuto in piedi il partito azzurro dopo la scomparsa di Silvio Berlusconi, ma lo ha portato anche a un testa a testa con la Lega di Matteo Salvini.
Ma FI non è un partito come tutti gli altri. Troppo semplicistico definirlo partito azienda, solo che i figli di Berlusconi sono i garanti delle fidejussioni che tengono economicamente in piedi il partito. E Tajani, lui stesso tra i cofondatori di Forza Italia con Berlusconi, dopo la scomparsa del Cavaliere quattro volte premier, che faceva la sintesi con la sua stessa immagine, si trova ad affrontare il non facilissimo ruolo di coniugare con regole di partito due estremità opposte: il partito nato dall’azienda, il partito fluido d’opinione nel segno del Cav e quello «cosi troppo liberale da diventare il partito di quelli che fanno come c…gli pare», sbottò una volta fuori dall’Aula di Palazzo Madama, il senatore avvocato Niccolò Ghedini, dopo che gli Azzurri avevano votato in tre modi diversi al loro interno.
L’altro ieri Tajani ha risposto con gelida calma alla richiesta di “volti nuovi” da parte dell’amministratore delegato di Mediaset e al governatore della Calabria, il cinquantenne, già capogruppo azzurro alla Camera, Roberto Occhiuto, che ha battezzato la nuova “corrente” azzurra “In Libertà” a Palazzo Grazioli già residenza romana del Cavaliere. «Il congresso si terrà nel 2027», ha affermato sfidando di fatto Occhiuto e ha aggiunto: «Tutti sono sono liberi candidarsi, naturalmente io mi candiderò». Tajani che ha dato l’ordine del silenzio al suo staff politico, composto dagli uomini di punta Maurizio Gasparri, capogruppo di FI al Senato, sua solida spalla dai tempi della gioventù al Tasso, il capogruppo alla Camera Paolo Barelli, suo consuocero, il portavoce nazionale, Raffaele Nevi, vicecapogruppo vicario a Montecitorio. Ma nelle file azzurre trapela che i figli di Berlusconi, Pier Silvio e Marina, presidente del gruppo Mondadori e di Fininvest, avrebbero visto di buon occhio l’ini - ziativa. «I figli di Berlusconi sono sempre pronti signorilmente ad ascoltare sempre tutti», dicono. Ma il fuoco dei malumori interni cova sotto la cenere.
Gli uomini chiave di Tajani sono nel mirino come lui stesso, accusati di essere troppo chiusi nelle decisioni di partito e troppo autoreferenziali, fin nei metodi giudicati a volte un po’ troppo spicci e con scarso ascolto. Tajani è figlio di un militare, alto in grado nell’esercito, da cui evidentemente ha ereditato spirito di lealtà, forza coriacea, ma anche una certa rigidità che gli viene rimproverata. Viene dalla gavetta politica, un mondo molto lontano da quello televisivo e imprenditoriale di Pier Silvio e Marina.