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Sarkozy lascia il carcere: l’ex presidente sarà in libertà vigilata

La Corte d’appello accoglie la richiesta di scarcerazione dopo 20 giorni di prigione. “È dura, molto dura”

10 Novembre 2025, 14:59

15 Dicembre 2025, 02:32

Sarkozy lascia il carcere: l’ex presidente sarà in libertà vigilata

Dopo venti giorni trascorsi nel carcere parigino della Santé Nicolas Sarkozy torna in libertà ma rimane sotto controllo giudiziario. I giudici della Corte d’appello hanno accolto la richiesta dei difensori, peraltro condivisa dalla stessa procura, di scarcerare l’ex presidente della repubblica condannato in primo grado per associazione a delinquere per l’affaire dei finanziamenti libici alla campagna elettorale del 2007 ma assolto dalle accuse “concrete” di corruzione e riciclaggio.

Una decisione, quella di applicare l’esecuzione provvisoria della pena, che aveva suscitato l’indignazione degli avvocati di Sarko, convinti di un accanimento particolare nei confronti del loro cliente. La detenzione provvisoria è infatti normata dall’articolo 144 del codice di procedura penale che la prevede solo di fronte alla manifesta pericolosità sociale, al possibile inquinamento delle prove e al pericolo di fuga, tutti criteri assenti nel caso di Sarkozy.

E infatti la decisione, del tutto discrezionale, di metterlo dietro le sbarre era stata motivata in virtù dell’ “estrema gravità dei fatti contestati” e del ruolo istituzionale che ha ricoperto Sarkozy, una sorta di punizione esemplare in attesa del giudizio di secondo grado avrebbe minato la presunzione di innocenza.

Nonostante non sia cambiato nulla, la Corte ha ritenuto che le condizioni per la custodia cautelare non sussistessero più, ma ha imposto a Sarkozy diverse restrizioni: il divieto di contattare gli altri imputati, di lasciare il territorio nazionale e, fatto inedito, di comunicare con il ministro della Giustizia Gérald Darmanin, «dato il suo ruolo e la sua capacità di attivare diversi servizi dello Stato».

Darmanin, che lo aveva visitato in carcere a fine ottobre, era stato bersagliato di critiche, soprattutto tra i magistrati: il procuratore generale Rémy Heitz aveva denunciato «il rischio per la serenità del processo e la possibile ingerenza nell’indipendenza della magistratura». Darmanin da parte sua ha rivendicato il diritto di poter visitare un amico in difficoltà e il dovere di sorveglianza del guardasigilli nei confronti di un ex capo di Stato che per ragioni di sicurezza non potrà mai essere un detenuto come gli altri.

Durante l’udienza di scarcerazione, l’ex presidente, collegato in videoconferenza, ha parlato con tono sobrio ma provato. «È duro. Molto duro. Certamente lo è per ogni detenuto, direi persino estenuante», ha detto. Ha voluto rendere omaggio al personale penitenziario, «di un’umanità eccezionale», capace di rendere sopportabile «questo incubo, perché di un incubo si tratta». Poi, quasi con stupore, ha aggiunto: «Non avrei mai immaginato di dover aspettare i settant’anni per conoscere la prigione».

L’avvocato difensore Christophe Ingrain, ha salutato la liberazione come «una tappa», ricordando che «la prossima sarà il processo d’appello, che prepareremo con serenità e fiducia». Ma l’episodio, al di là della sorte personale dell’ex presidente, lascia aperta una riflessione più ampia sul rapporto tra giustizia e potere, tra la necessaria indipendenza dei giudici e la tentazione di trasformare la legge in uno strumento esemplare con decisioni trainate dal processo mediatico.

Per diversi giuristi, l’incarcerazione di Sarkozy è il segno di una giustizia in cerca di legittimità, che tenta di dimostrare la propria imparzialità colpendo in alto, ma che rischia così di scivolare verso una logica di spettacolarizzazione assecondando il giustizialismo da talk show. Non si tratta di negare la gravità delle accuse — l’ipotesi di un finanziamento occulto da parte del regime di Gheddafi rimane uno scandalo potenzialmente devastante — ma di interrogarsi sulla proporzionalità delle misure e sulla coerenza con i principi fondamentali dello Stato di diritto.

In carcere, Sarkozy era stato posto in isolamento, con due agenti di sicurezza nella cella accanto “per motivi di sicurezza personale e istituzionale”, come ha spiegato il ministro dell’Interno Laurent Nuñez. Una precauzione che ha contribuito a rendere la detenzione ancora più surreale.

Intanto, tra i coimputati, la Corte ha liberato sotto controllo giudiziario l’ex banchiere Wahib Nacer, 81 anni, mentre ha mantenuto in detenzione Alexandre Djouhri, condannato a sei anni e a tre milioni di euro di ammenda, ritenendo che presentasse “garanzie particolarmente deboli” e che sussistessero ancora rischi di pressione sui testimoni, in particolare sull’ex collaboratore di Gheddafi, Bechir Saleh, oggi latitante.

Il presidente della Corte, Olivier Géron, ha voluto precisare che, nel pronunciarsi sulla richiesta di scarcerazione, «i criteri dell’appello differiscono necessariamente da quelli del giudizio di primo grado» e che «nessuna delle decisioni prese in questa fase anticipa l’esito del processo d’appello». Una puntualizzazione che suona come un monito, ma anche come un tentativo di riportare la vicenda nel suo alveo naturale: quello del diritto, e non della morale.