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L'intervento dell'ex presidente Anm: "La riforma che ha gerarchizzato gli uffici ha incoraggiato il carrierismo tra noi magistrati. Ora l'errore rischia di ripetersi"
C’è chi - in qualche procura del Regno - ha già messo in ghiacciaia la bottiglia di champagne e preparato una sfilza di comunicati stampa trionfalistici da inviare alla folta schiera di giornali amici non appena arriveranno i primi exit-poll sul referendum di domenica. È l’esercito di chi si illude che un’eventuale sconfitta del Sì possa dare nuovo smalto e slancio a una magistratura travolta dal caso Palamara e ammaccata dal clamoroso flop dello sciopero del 16 maggio scorso. Per questo i procuratori più in vista sono così loquaci, perché vedono una luce in fondo al tunnel. E in questi giorni, poi, non si sono risparmiati e ne hanno dette di tutti i colori. Hanno scritto e dichiarato - per dirne una - che il Sì al quesito sull’abuso delle misure cautelari porterebbe alla scarcerazione di stupratori e assassini di ogni risma; qualcuno ha provato anche a cavalcare il duplice femminicidio di Vicenza. Un tentativo di sciacallaggio insensato visto che quell’uomo non era certo libero per colpa di un referendum che deve essere ancora votato. Insomma, una parte delle procure italiane è convinta che domenica sera, un minuto dopo la chiusura delle urne referendarie, inizierà la risalita e il riscatto della categoria. Ma è un’illusione: la crisi della nostra magistratura è una crisi di sistema che non si risolverà certo con un No sulla scheda. Non capiscono che solo la vittoria del Sì può aiutare la magistratura a riprendersi dall’ubriacatura di potere nata con Tangentopoli; e solo la rinuncia all’egemonia politica può ricondurre le nostre toghe entro l’alveo costituzionale. La separazione delle funzioni (a proposito, in questi giorni c’è chi va ripetendo in giro che Giovanni Falcone era contrario, e noi più che pubblicare i suoi scritti non sappiamo che fare), la separazione delle funzioni, dicevamo, può infatti liberare la magistratura giudicante dal giogo e dal ricatto mediatico generato dal protagonismo di alcuni pm, i quali cercano di condizionare in ogni modo le loro scelte in sede di giudizio. Lo sanno bene quei poveri giudici che osano emettere una sentenza difforme dalle aspettative della procura e del popolo votante, e che per questo si ritrovano al centro del ciclone mediatico-giudiziario che li mette alla gogna insieme agli imputati e, tanto per non farci mancare nulla, insieme agli avvocati difensori. Così come sarebbe una manna per la professionalità e la correttezza di giudici e pm, l’attenuazione delle misure cautelari, troppo spesso usate come vero e proprio strumento di indagine e indebita pressione per “indurre” l’indagato a confessare. Ricordate Davigo? “Non non li mettiamo in carcere per farli parlare, li facciamo uscire perché parlano…”. Insomma, solo con la vittoria del Sì i magistrati potranno liberarsi dalle derive sudamericane e anticostituzionali. Ma la gran parte di loro non lo ha capito e così, domenica sera, saranno convinti di brindare alla vittoria mentre nella realtà brinderanno alla loro definitiva rovina. Ricordate l'allegra orchestrina che suonava mentre il Titanic affondava? Ecco, una cosa del genere…