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Il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov sostiene che l’Occidente non desidera soltanto la disfatta militare del suo paese in Ucraina ma addirittura l’annientamento totale della cultura russa nelle nostre società. Per questo ha ringraziato l’Italia che ha aperto la stagione della Scala a Milano con la rappresentazione di Boris Godunov, l’opera lirica di Modest Petrovič Musorgskij il cui libretto è tratto dall’omonimo dramma teatrale di Aleksandr č Puškin. E aggiunge però che si tratta di «una voce nel deserto» di «uno sprazzo di ragionevolezza» perché in generale i governi occidentali stanno brandendo il manganello della cancel culture contro gli scrittori, i musicisti, gli artisti, i filosofi, gli scienziati russi. È vero che nelle settimane immediatamente successive alla brutale invasione dell’Ucraina ci sono state reazioni scomposte e un’ondata di isteria russofoba che ha attraversato anche l’Italia. Viene in mente in tal senso l’assurda cancellazione del corso di Paolo Nori su Dostoevskij all’Università Bicocca di Milano. O la rimozione dalla stessa Scala del direttore d’orchestra Valery Gergiev in quanto amico personale di Vladimir Putin. Ma sono stati episodi tanto stupidi quanto minoritari. Nessun italiano, francese, tedesco o britannico dotato di buon senso potrebbe infatti desiderare la cancellazione della cultura russa per il semplice fatto che essa è parte integrante della storia europea e senza la Russia l’Europa non sarebbe mai diventata quello che è, nel bene e nel male. Semmai è il blocco di potere putiniano che si è allontanato da noi, scegliendo il vicolo cieco del nazionalismo imperialista e dell’isolamento. Per il resto noi europei continueremo ad amare alla follia i dilemmi morali di Dostoevskij, il folgorante senso della storia di Tolstoj, la disincantata ironia di Cechov, le meravigliose lezioni di letteratura di Nabokov, il romanticismo cosmopolita di Tchaikowsky la genialità di Stravinsky, il virtuosismo di Rachmaninov. E ci fermiamo qui perché solo a nominarli viene una vertigine.