Il filosofo Massimo Cacciari analizza il periodo negativo del Partito democratico, spiega che «voler governare è legittimo e necessario, ma avere come unico fine quello di ricoprire incarichi ministeriali, cioè partecipare comunque al governo per garantire governabilità e stabilità, non ha alcun senso» e pensa che «per fare un’opposizione efficace oggi come oggi sia necessario non soltanto un lavoro di rifondazione nel Partito democratico ma anche un dialogo con l’area elettorale e di opinione pubblica vicina ai Cinque Stelle».

Professor Cacciari, che impressione le ha fatto la Direzione del Partito democratico?

Mi sembra proprio che non abbiano ancora ben chiaro la necessità di rimettere radicalmente in discussione tutto, a parte da loro stessi. Parlano tanto di idee, ma in fondo le idee camminano sulle gambe di persone in carne ed ossa. Di conseguenza non penso sia molto credibile un gruppo dirigente che non si mette in discussione dopo esperienze come quelle non dell’ultimo mese ma degli ultimi anni.

Beh però il segretario Letta ha parlato di un Congresso “aperto”, non la convince?

Bisogna capire se vogliono davvero fare un congresso aperto a forza nuove, organizzato in modo che possa parteciparvi con potere decisionale anche chi è interessato alle sorti della sinistra ma non è iscritto al Pd; oppure se intendono fare una cosa tra di loro per far venir fuori Bonaccini al posto di Letta come Zingaretti è venuto fuori al posto di Renzi. Insomma, dipende da quanto hanno capito la lezione degli ultimi anni e intendano avviare un processo di rifondazione. Siamo di fronte a un partito il cui penultimo segretario se ne è andato dicendo che gli faceva schifo e un’affermazione di questo genere non è mai stata discussa in qualunque sede di partito, ci rendiamo conto?

Secondo il segretario il partito ha pagato l’essere stato al governo ben tanti anni. È d’accordo?

Il Pd è un partito ministeriale, non governista. Tutti i partiti fanno politica per governare, ci mancherebbe, ma essere ministeriali è diverso. Voler governare è legittimo e necessario, ma avere come unico fine quello di ricoprire incarichi ministeriali, cioè partecipare comunque al governo per garantire governabilità e stabilità, non ha alcun senso. Governabilità e stabilità sono positive laddove servono per fare riforme e risolvere problemi. La governabilità va bene quando c’è un governo che la garantisce, non vuol dire solo occupare dei ministeri.

Quindi non pensa che al Partito democratico farà bene stare all’opposizione, come detto da Letta?

Tutte le cose dette da Letta le aveva dette anche Zingaretti. Di per sé non fa bene a un partito politico stare all’opposizione. Gli fa bene stare al governo ma governando, non soltanto garantendo che il Parlamento resti aperto.

Ha parlato della necessità di aprirsi oltre il Pd: intende riabbracciare l’alleanza con il Movimento 5 Stelle?

Tra i problemi ci sarà di certo anche quello di definire una strategia e una linea. E da lì deriva il giro delle alleanze. Penso che per fare un’opposizione efficace oggi come oggi sia necessario non soltanto un lavoro di rifondazione nel Pd ma anche un dialogo con l’area elettorale e di opinione pubblica vicina ai Cinque Stelle. Ma va fatto nel merito, non in astratto come una mera sommatoria di numeri. Bisogna vedere se questa linea sarà quella che il nuovo gruppo dirigente sceglierà.

Cosa manca a questo Pd per tornare a quello di Veltroni, del discorso al Lingotto, della campagna elettorale del 2008?

Non è che gli manca qualcosa, è semplicemente il decorso di una malattia. Dal giorno dopo le elezioni perse da Veltroni si vedeva già come sarebbe andata a finire. La speranza si era accesa con il discorso del Lingotto, con la vocazione maggioritaria, con un discorso riformatore sul piano istituzionale che abbandonava un conservatorismo assoluto sul tema. Attorno a ciò si poteva formare un gruppo dirigente che avesse una destinazione comune e che non fosse erede di passate tradizioni.

Perché non è finita così?

Perché poi si è capito che Veltroni non era il leader adatto a un discorso di rinnovamento, che la vocazione maggioritaria era finita, tanto che iniziarono da subito a intrallazzare con Di Pietro, e che le due componenti ex democristiana ed ex comunista erano già d’accordo per spartirsi le spoglie di un partito appena nato ma già morto. L’unico disperato tentativo era quello di trovare un leader per dare un senso a queste contraddizioni e di primarie in primarie si è arrivati a Renzi, la catastrofe del riformismo.

Scusi ma ha parlato di vocazione maggioritaria e riforme istituzionali. Non è quello che voleva fare Renzi nel 2016?

Il referendum di Renzi fu un tentativo e infatti io l’ho sostenuto. Con tanti amici che mi dicevano di fare il contrario. Era abborracciato e dilettantesco nel modo in cui è stato presentato, certo, e disastroso dal punto di vista tattico, visto che è diventato un referendum su di lui. Ma era una battaglia giusta. Solo che Renzi l’ha condotta in un modo folle e suicida e credo che ora se ne renda conto pure lui. Detto questo gli va dato atto che è stato l’unico nel bene e nel male a dire che bisognava fare delle riforme.

Ora le stesse cose le dice il centrodestra, puntando al presidenzialismo. Riusciranno a governare?

Staremo a vedere, certo non sarà semplice. Ma non perché siano migliori o peggiori degli altri ma perché la situazione è ogni giorno più drammatica e l’asticella sale. Governare è sempre più difficile che fare opposizione e gli ostacoli sono drammatici. Il potere d’acquisto del ceto medio sta precipitando, la povertà aumenta e il distacco nord su diventa una voragine, come dimostrato dal voto. Insomma, tanti auguri alla signora Meloni.