Donna, avvocata e coraggiosa come pochi. Nasrin Sotoudeh, attivista iraniana condannata a 38 anni di carcere e 148 frustate per aver difeso le ragazze della via della Rivoluzione, salite su dei cubi di cemento in segno di protesta togliendosi il velo, parla dalla sua casa a Teheran, dove si trova da metà novembre grazie ad un congedo sanitario. Una “concessione” che è frutto dell’attenzione internazionale sul suo caso e neanche lontanamente sintomo di uno Stato di diritto, in un Paese dove violenze e vessazioni sono all’ordine del giorno e dove i diritti umani sono solo un miraggio. E pur rischiando di subire nuove brutalità, non rinuncia a raccontarci la battaglia del suo popolo e quanto sia importante il coraggio di donne e uomini scesi in strada con lo slogan “Donna, Vita e Libertà” per protestare contro il regime. «La pace e la sicurezza del mondo si basano esplicitamente sul rispetto per i diritti umani - ci ha raccontato -. Il mondo non può sedersi a negoziare con la Repubblica islamica, ignorando le sofferenze del popolo iraniano».

Lei si trova in permesso sanitario da metà novembre, dopo aver trascorso diverso tempo in carcere a seguito di una condanna iniqua. Quali sono, attualmente, le sue condizioni di salute?

Al momento, la mia salute fisica non è male. In verità, i 16 mesi in cui sono stata fuori di prigione hanno favorito il mio recupero. Ma vedere le condizioni in cui versa il mio Paese è insopportabile per me. Condizioni che, come vedete, hanno portato alla morte dei nostri giovani per qualcosa di veramente insignificante come il velo, per poi vederli ancora una volta uccisi e gettati in prigione per essersi sostenuti a vicenda, che è un naturale impulso umano. L’ondata di violenze non accenna ad arrestarsi, poiché i vuoti legislativi nel diritto internazionale permettono ai governi di chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani in ogni angolo del mondo e a un governo di continuare in maniera spudorata a violare i diritti umani impunemente. Questo permesso fa spesso il paio col silenzio o la negligenza rispetto alle azioni di tali governi, ma il vero incubo che si abbatte sui cittadini è quando questi vuoti concedono a chi viola i diritti umani opportunità d’investimento che si trasformano nel loro paradiso. Non è forse giunto il momento che i politici siano un po’ più sinceri con la loro gente?

Crede che sia possibile prolungare il suo permesso?

Sinceramente, riguardo alla proroga del mio congedo, non so se verrà approvata o meno. Comunque, nel corso di questi mesi, il permesso è stato ripetutamente prorogato e le mie condizioni, rispetto l’anno scorso, non sono cambiate. Ma naturalmente tutte le raccomandazioni mediche e le decisioni legate alla proroga sono influenzate da questioni di sicurezza difficili da prevedere.

Che situazione ha trovato in prigione?

Negli ultimi 12 anni, a causa della mia decisione di rappresentare gli imputati per crimini politici così come le “Girls of Revolution Street” (in protesta per lo hijab obbligatorio), sono stata in prigione per un totale di sei anni, cinque dei quali trascorsi nel carcere di Evin e uno a Qarchak. In entrambe, le condizioni erano disumane. Il regime nella prigione di Evin è di alta sicurezza, il che la rende un ambiente davvero soffocante per i carcerati. Gli inquisitori entravano nel reparto femminile a loro piacimento, convocavano le prigioniere nell’ufficio del reparto e si rivolgevano a loro in tono minaccioso. D’altro canto, le prigioniere spesso s’incontravano con gli inquisitori nella speranza di trovare un modo per essere rilasciate.

Ha subito violenze durante la sua detenzione?

In carcere ho sperimentato la violenza molte volte. Quando mi rifiutai di partecipare ai processi farsa dei tribunali rivoluzionari, mi portarono in aula con la violenza. Quando mi rifiutai d’indossare il velo per le visite coi miei bambini e indossai gli indumenti carcerari, decisero di sospendere le visite coi miei figli piccoli. Quando hanno preso mio marito, quando hanno preso mia figlia, hanno bloccato i miei conti bancari e quelli di mio marito, o vietato a mia figlia di uscire, e un elenco infinito di altre molestie , tutto aveva le caratteristiche della tortura.

Crede che raccontare quanto sta accadendo e continuare a difendere i diritti violati dal regime le si ritorcerà contro una volta che sarà costretta a tornare in carcere

Naturalmente, quando ritornerò in carcere dovrò affrontare tali forme di violenza. In ogni caso, a causa del mancato rinnovo della mia licenza a esercitare la professione di avvocato, non posso difendere i manifestanti in Iran, un fatto che mi addolora. La mia più grande preoccupazione è l’emissione di condanne a morte nei confronti dei manifestanti in modo illegale e a scopo intimidatorio. Ovunque io sia, la mia priorità assoluta è prevenire l’emissione e l’esecuzione di condanne a morte.

Perché ha deciso di non impugnare l'ingiusta sentenza con la quale era stata condannata a una pena assurda e violenta?

La ragione per cui non volli impugnare la mia sentenza, che all’epoca prevedeva un totale di 38 anni di carcere e 148 frustate, fu la dimestichezza con le operazioni del tribunale e il completo disprezzo per i giudici rivoluzionari. Non volevo che la mia partecipazione in tribunale e le mie contestazioni legali alle sentenze emesse, con accuse assurde, creassero la percezione che i giudici di questi tribunali si considerassero legittimi. Volevo urlare, il più forte possibile, affinché la mia voce fosse udita da tutti, e smascherare i tribunali rivoluzionari e i loro giudici giurati che farebbero qualsiasi cosa a qualsiasi costo per proteggere il sistema. Naturalmente, come avvocato che rappresenta i prigionieri politici davanti ai tribunali rivoluzionari, non potevo usare un approccio di questo tipo: si trattava di approcci che dovevano scegliere gli stessi imputati. Ma per quanto mi riguarda, ho deciso di procedere in questo modo.

Cosa accadrà in futuro? Pensa di poter essere rilasciata, nonostante le pesanti (e false) accuse che le vengono mosse?

Considerando che il sistema politico in Iran è una dittatura, che il sistema giudiziario non è indipendente e che nessuno agisce secondo la legge, è difficile per me prevedere cosa succederà col mio caso. Ma una cosa la so: il mondo è cambiato grazie alla disobbedienza civile, e la resistenza opposta da altri prima di noi ci ha dimostrato che questi metodi funzionano; quindi, non c’è motivo per cui non possano servire al nostro scopo. Ho scelto una strada che credo sia quella giusta e quindi, prima di pensare a come il governo potrebbe reagire al mio caso, penso a ciò che devo fare io.

Quanto è importante il suo ruolo di avvocato e di donna nella tua battaglia per i diritti?

Di sicuro sa che ci sono state altre donne giuriste e avvocate che si sono dedicate all’aggiornamento della giustizia e ai diritti delle donne, tra loro Shireen Ebadi e Mehrangiz Kar, entrambe costrette all’esilio. Ora è il mio turno. Credo che la conseguenza più importante della presenza di donne specializzate in campi come la sociologia, legge, economia, medicina e altri ancora, in realtà più di ogni altra cosa, sia lo sbarazzarsi di quella fantasia che la donna valga la metà di un uomo. Gli sforzi di tutti i giuristi, donne o uomini che siano, sono incentrati sull’uguaglianza dei diritti, a prescindere da sesso, razza, etnia e lingua. La realizzazione di questi valori richiede un sistema giudiziario con avvocati indipendenti e giudici neutrali. Credo che alcuni legali siano stati capaci di onorare il proprio ruolo di figure indipendenti e non arrendersi di fronte alla paura e alle minacce. Ma in tutti questi anni, i nostri sforzi per istituire un sistema giudiziario sano e neutrale non hanno prodotto i risultati desiderati.

In che condizione lavorano gli avvocati nel suo Paese?

Gli avvocati in Iran devono affrontare molti pericoli, pericoli che spesso li conducono all’arresto. Nelle recenti proteste, non appena gli avvocati si fanno avanti per rappresentare un cliente, vengono arrestati insieme a quest’ultimo.

In Iran è in corso una battaglia per i diritti: ci sono differenze con le proteste che si sono tenute in passato?

Credo che questa volta ci sia una volontà nazionale di cambiare il regime, una situazione che non è in alcun modo reversibile. Una protesta che nasce dall’esperienza vissuta dal popolo iraniano, dalla pressione quotidiana, che ha radici profonde. Gli iraniani stanno combattendo per poter vivere una vita normale, l’hijab obbligatorio è solo un aspetto di questa battaglia. Allo stesso modo, ci opponiamo alle esecuzioni capitali, a un sistema giudiziario ingiusto, al potere illimitato e incontrollato delle guardie rivoluzionarie che, come forza armata, intervengono in tutte le questioni, dall’economia all’ambiente, e alle condanne nei confronti dei ragazzi più brillanti di questo Paese a “corruzione in Terra” (ndr: traduzione letterale di “mofsed-e-filarz”, titolo per i crimini capitali in Iran o per coloro che li perpetrano) che li sottopongono a lunghe pene detentive. Noi protestiamo contro tutto questo. Non vogliamo che i nostri stili di vita siano determinati dagli interessi dogmatici e predatori di una ristretta fazione della società.

Quali sono le sue maggiori preoccupazioni riguardo alle proteste? E quale appello rivolge alle istituzioni internazionali per aiutare il suo popolo a far valere i propri diritti?

La mia più grande preoccupazione per questa rivolta sarebbe la disintegrazione dell’Iran, della quale non vediamo alcuna traccia, ma alcuni di noi, pur comprendendo il linguaggio della protesta e come il Paese sia stufo di tutte queste pressioni, sono concentrati e sensibili all’integrità territoriale della nazione e la proteggono. La mia seconda preoccupazione è che se mai arriverà il giorno in cui il governo iraniano si dichiarerà pronto per i negoziati sul nucleare, il mondo si dimenticherà ancora una volta di tutta la nostra sofferenza e si siederà a negoziare con l’Iran. In merito a queste difficoltà, posso dire che se guardiamo alla Carta delle Nazioni unite e alla Dichiarazione universale dei diritti umani, due documenti emanati dopo la Seconda guerra mondiale con il consenso della comunità internazionale, la pace e la sicurezza del mondo si basano esplicitamente sul rispetto per i diritti umani. Il mondo non può sedersi a negoziare con la Repubblica islamica, ignorando le sofferenze del popolo iraniano.

(Si ringraziano Amir Soltani e Pierangelo Milano per la collaborazione)

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