Prove di dialogo a distanza tra l'Unione Camere Penale e il presidente dell'Anm Santalucia sul tema dell'inappellabilità delle sentenze di assoluzione. Ne parliamo quindi con il presidente dei penalisti, Gian Domenico Caiazza, che si dice soddisfatto dai riscontri dei partiti sui temi da lui sollevati per la riforma della giustizia. Unico assente è il Partito Democratico: «Non ci si può nascondere dietro il silenzio».

Il Presidente dell'Anm Santalucia ha detto che tecnicamente se ne può discutere. Il tema quindi non è un tabù come la separazione delle carriere.

È sempre positiva una risposta che apra ad un confronto. Non capisco però perché lo stesso confronto non si possa aprire sulla separazione delle carriere.

Santalucia ha però aggiunto: «Non dimentichiamo che il pm ha già subìto delle limitazioni per le impugnazioni».

È sbagliata la logica del concetto di "limitazioni". Il tema è molto semplice: l'impugnazione del pubblico ministero contro le sentenze di assoluzione non può convivere con il principio dell'al di là di ogni ragionevole dubbio. Io faccio sempre l'esempio del delitto di Garlasco e della condanna di Alberto Stasi dopo due assoluzioni.

Ho posto all'attenzione del Presidente Santalucia questo caso. Ha detto che «sul ragionevole dubbio la giurisprudenza e il legislatore hanno ragionato ampiamente» e che «se il legislatore vuole mettere mano alla riforma penso sia un tema da trattare con particolare cura tecnica e magari selezionare quali tipo di assoluzioni non poter impugnare».

Vorrei valorizzare questa disponibilità di Santalucia e dell'Anm. Se ragioniamo in questi termini, e cioè di capire se è possibile immaginare un distinguo o porre delle condizioni di (in)ammissibilità per le impugnazioni del pubblico ministero, se ne può discutere. Anche se noi siamo restiamo convinti che la soluzione in armonia con il rito accusatorio sia quella di non prevedere alcuna impugnazione.

Il dottor Santalucia ritiene però che non bisogna mai dimenticare il punto di vista delle vittime e l'esigenza collettiva di giungere ad una verità.

Il ragionamento è viziato da un'idea totalmente distante dallo spirito del processo accusatorio: la ricerca della verità con la 'V' maiuscola, quella vera, che non coincide con la verità processuale. Non si riesce ad accettare che l'unica verità sulla quale ci dobbiamo misurare è quella che il processo è riuscito a costruire. Se noi ragioniamo aspirando ad una verità che va oltre il processo, svuotiamo di senso il processo. Quest'ultimo è la ricostruzione postuma di un fatto. Essa deve essere favorita in ogni modo prima nella fase delle indagini poi nella fase dell'istruttoria dibattimentale. Dopo di che si accetta la ricostruzione del fatto processuale, altrimenti non si finisce più di processare se l'obiettivo è quello di giungere ad una pretesa verità storica.

E però le impugnazioni del pm sono sotto il 2%.

Noi non poniamo il tema sulla questione delle percentuali. Si tratta di un problema di principio. Le impugnazioni del pm avvengono non a caso nei procedimenti di grande impatto mediatico e di grave allarme sociale. Il pubblico ministero si sente in dovere di inseguire la conferma della propria tesi accusatoria, anche dopo una sentenza di assoluzione.

La personalizzazione dell'accusa, come ci ha detto il professor Spangher.

Esatto. Ripeto: tutti abbiamo a cuore che il processo penale ricostruisca il fatto nel modo più plausibilmente vicino alla verità storica. Ma se all'esito di una istruttoria i giudici ritengono che il materiale non sia sufficiente per una condanna, bisogna accettare il verdetto perché qualunque verdetto diverso non eliminerà il dubbio. Non a caso il codice prevede una assoluzione anche in presenza di prova insufficiente o contraddittoria. Purtroppo non si accetta che nel dubbio si assolve e più in generale esiste la pericolosa idea che l'assoluzione sia una conclusione fallimentare del processo penale. Se vieni assolto allora vuol dire che si è sprecato tempo e denaro, deludendo le aspettative delle vittime. Questo è il nodo culturale alla base del tema di cui stiamo discutendo.

È quello che sosteneva il professor Giostra in un convegno: «fate caso che si dice "giustizia è fatta" solo quando arriva una condanna?».

Esattamente. E questo è l'aspetto veramente grave della questione, ossia il ritardo culturale di questo Paese sulle dinamiche del sistema accusatorio.

Spostiamoci sul piano politico. Sempre il presidente Santalucia ha detto: parliamone ma non con i toni di Silvio Berlusconi. Secondo lei i toni della politica potrebbero far abortire in partenza ogni ragionamento tecnico sul tema?

La politica fa la sua parte con il suo linguaggio, necessariamente semplificato rispetto alla complessità tecnica delle questioni. Non credo sia questo il problema. Sono d'accordo con Santalucia che quando si arriva a dover concretizzare quelle idee occorre che a farlo siano i tecnici del diritto insieme alla politica.

Prima di Silvio Berlusconi, l'idea dell'inappellabilità delle sentenze di assoluzione, insieme ad altri temi di riforma della giustizia, era stata rilanciata da voi con una lettera ai partiti. Che riscontri avete avuto?

Stiamo ricevendo riscontri importantissimi. Forza Italia, attraverso le parole di Silvio Berlusconi, ha già appunto detto sì a due importanti nostri temi: inappellabilità e separazione delle carriere. Poi alla conferenza stampa di ieri (due giorni fa, ndr) organizzata dal Terzo Polo, Azione e Italia Viva con Calenda e l'onorevole Boschi hanno sostanzialmente fatto propri tutti i punti da noi indicati, ivi compreso il ritorno sulla riforma della prescrizione. Anche Fratelli D'Italia, tramite l'onorevole Delmastro Delle Vedove, hanno confermato di essere favorevoli alla separazione delle carriere, al divieto di distaccare i magistrati fuori ruolo al Ministero della giustizia, e persino a ridiscutere dell'abuso della custodia cautelare.

Il grande assente pare essere il Partito Democratico?

Da loro non ho sentito dire nulla, a partire dal tema oggetto di questa intervista. Ci aspettiamo che tutti i partiti prendano posizione. Auspichiamo che lo facciano in maniera positiva verso le questioni da noi sollevate. Tuttavia anche se fosse in senso contrario, sarebbe comunque importante per conoscere le loro argomentazioni. Però nascondersi dietro il silenzio su questi temi in campagna elettorale non è consentito.