Armando Veneto è quello che un tempo si definiva un vero “galantuomo”. Tutti i penalisti, o quasi, hanno avuto modo di incontrarlo sulla loro strada ed io in particolare ho avuto rapporti con lui come Presidente dell’Ucpi. Nessuno ha potuto rimproverargli una condotta scorretta, una scortesia, o ciò che spesso accade tra colleghi: dato il suo prestigio, di sottrarre un assistito magari ad un giovane avvocato. Tutto ciò basta per dire che è stato condannato un innocente? Forse no. Ma ciascun uomo ha una sua storia, ha una sua personalità che col tempo dimostra di che cosa è fatto, se ama la giustizia o se è avido di denaro o di successo. Non è quest’ultimo sicuramente il caso di Armando Veneto. In Calabria è sempre stato un punto di riferimento per i penalisti, tant’è che a lui sono stati dedicati una raccolta di studi e un convegno a cui hanno partecipato avvocati e docenti universitari di tutta Italia. Ma non vorrei si dicesse che ogni volta che viene accusato un avvocato la categoria si solleva a sua difesa, quasi a prevenire che ciò possa ripetersi per qualcun altro, soprattutto per chi opera in certe regioni in cui comanda la mafia. Ci vuole molto coraggio e molta onestà per resistere alle lusinghe, o alla prepotenza delle associazioni mafiose. Eppure in quelle regioni lavorano alcuni dei migliori penalisti che ci sono oggi in Italia, e non solo dei migliori: anche tra i più onesti e leali. Uno di questo è Armando Veneto. Perché ho voluto rappresentare la correttezza e la lealtà di Armando Veneto in più di sessant’anni di professione? Non per lodarlo, certo: lo hanno fatto in tanti, in questi giorni, e non ha bisogno che mi aggiunga anch’io. Ho voluto ricordare le sue caratteristiche di avvocato perché anche gli elementi che emergono in un processo, ammesso che ve ne siano, debbono essere valutati alla luce della persona a cui si riferiscono. Le accuse a suo carico sono state archiviate dalla Procura di Catanzaro nel 2011; poi la squadra mobile di Reggio Calabria ha riaperto le indagini, ma ha poi inquadrato, senza ombra di dubbio, la dinamica dei fatti e la totale estraneità dell’avvocato Veneto. Ancora la Procura di Catanzaro ha successivamente riconosciuto e spiegato la dinamica dell’errore commesso quando si era dubitato di un possibile ruolo dell’avvocato Veneto nella vicenda. Lo ha infine ribadito il pubblico ministero del processo celebrato nel 2015 nei confronti dei ritenuti responsabili, chiarendo che quell’errore aveva comportato il rischio di favorire i veri colpevoli. Ciò hanno scritto i suoi difensori, ma sono fatti obiettivi e incontestabili. È stata una grande conquista del garantismo l’affermazione del principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, su cui si fonda la giustizia non solo americana, ma di ogni Paese civile. Se soltanto un dubbio sulla colpevolezza di un imputato sfiora la mente del giudice, o se quel dubbio appare obiettivamente dalle carte, una eventuale condanna è la condanna di un innocente. Nel caso di Armando Veneto non solo vi furono dei dubbi evidenti, ma vi fu la certezza che le accuse nei suoi confronti erano ingiuste e infondate. Oggi, evidentemente, il clima dei tribunali calabresi è cambiato e alcuni dei più noti avvocati della regione vengono fatti oggetto di provvedimenti cautelari o di condanne che in altre situazioni non avrebbero avuto spazio né presso la Procura né presso i giudici. Ogni avvocato vive in contiguità con i soggetti che difende, alcuni innocenti, altri pericolosi criminali. La nostra forza è sempre stata quella di distinguere l’uomo dall’imputato, di aiutare il primo e di difendere il secondo. Senza questo ruolo persino i processi non sarebbero pensabili, tant’è che lo capirono le Brigate Rosse revocando i loro avvocati e uccidendo l’avvocato Croce che ne assunse la difesa. Il nostro ruolo è rischioso e difficile: forse i giudici dovrebbero avere la coscienza di rispettare questa difficile e fondamentale funzione comprendendo che colpire avvocati come Armando Veneto significa incrinare l’intero sistema giudiziario.