Pochi minuti d’aria, poi di nuovo tutti giù nella stiva. Dove ammassate, 140 persone partite da Cesme, in Turchia, hanno poi incontrato le onde alte e spietate dello Jonio, che ha strappato la vita ad almeno 62 di loro. I racconti della tragedia di Steccato di Cutro sono raccolti in 43 pagine, quelle con la quale la procura di Crotone ha provato a dare un nome e un volto ai trafficanti che hanno guidato l’ennesimo barcone carico di disperati verso l’Italia.

Gente alla ricerca di vita, un un futuro migliore, sfuggita ai talebani o al terremoto in Turchia e Siria, alle guerre, alla fame, in viaggi iniziati due anni fa e costati fino a 8500 euro. Il viaggio inizia nella notte del 22 febbraio, prima a bordo di un'imbarcazione turistica bianca in vetroresina, poi su di un caicco di legno marcio, che già il 25 febbraio riesce a raggiungere la costa crotonese. Ma nonostante l’insistenza dei migranti a sbarcare subito o chiamare i soccorsi, gli scafisti decidono di attendere, spaventati da quelle luci che arrivano dalla costa e che sembrano essere puntate dalla polizia. Luci che, invece, segnalano la presenza di pescatori che, in inglese, promettono aiuto ai disperati a galla sul mare.

«C’erano due soggetti pakistani che ci tenevano segregati nella stiva per impedirci di salire sul ponte dell’imbarcazione. Tali pakistani, sulle direttive dei quattro scafisti, ci facevano salire soltanto per esigenze fisiologiche o prendere pochi minuti di aria, prima di farci ritornare nella stiva», racconta uno dei migranti. In quella barca di legno ci passa cinque giorni, assieme ai suoi compagni di viaggio, con i piedi tra le pozze di carburante. «Il motore perdeva - racconta un sopravvissuto -. Quando la barca si muoveva di lato, le persone si bagnavano di gasolio».

Nella notte tra il 25 e il 25, attorno alle quattro di notte, i trafficanti scorgono le prime luci, si spaventano e fermano la navigazione, cercando di cambiare rotta e modificare il punto di approdo. Tra le lamentele dei migranti, spaventati dalle onde alte, che annunciano solo morte. «I bambini piangevano, così come le donne. La situazione era diventata critica: dopo il repentino cambio di rotta le onde alte hanno iniziato a far muovere e piegare l’imbarcazione sino a quando improvvisamente la barca ha urtato contro qualcosa e ha iniziato a imbarcare acqua ed inclinarsi su un fianco», racconta ancora un testimone. Il motore inizia a fare fumo, che invade la stiva, assieme alla puzza di olio bruciato. «Ho sentito dire che un turco dell’equipaggio ha spinto al massimo la leva dell’acceleratore, rompendola», spiega ancora uno degli uomini a bordo. Il motore rimane dunque accelerato, nessuno sa come spegnerlo e tra i passeggeri è il panico.

«La gente nella stiva iniziava a soffocare ed a salire nella coperta. Dopodiché la barca si è spezzata e l’acqua ha iniziato ad entrare dappertutto», spiega un giovane. Le persone finiscono in acqua, risucchiate dalle onde. Le unghie attaccate a pezzi di legno, mentre gli scafisti spariscono a bordo di un gommone. E attorno corpi di bambini, amici, parenti. Un’apocalisse che riempie di dolore gli occhi di chiunque incontri quella spiaggia.

«Colpa di genitori irresponsabili che fanno partire i figli», ha detto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, di fronte al “carico residuale” di morti coperti da lenzuoli bianchi sulla spiaggia calabrese. Parole che poi ha provato a smorzare in Commissione Affari costituzionali al Senato, dove è intervenuto per illustrare le linee programmatiche del Viminale. «I nostri valori di solidarietà non possono fermarsi alla banchina di sbarco ma alle aspettativa di vita del migrante», ha detto. Annunciando la richiesta all’Ue di nuove norme per la gestione dei flussi migratori, i rimpatri, la protezione e l’ingresso regolare. Lo scopo è «proseguire sul rafforzamento dei canali legali di ingresso dei migranti», provando a smentire la tesi secondo cui il decreto Ong miri a impedire i soccorsi. Lo scopo, ha affermato, è «che si svolgano in maniera ordinata e coerente con le norme internazionali e ai quali si conformano gli Stati e solo indirettamente i soggetti privati».

Ma a replicare è il senatore del Pd Andrea Giorgis. «Cosa è accaduto e cosa ha fatto il governo tra le ore 22.30 e 4.10? Questo vogliamo sapere. Leggere e ascoltare parole che attribuiscono la responsabilità alle stesse vittime lascia senza parole - ha dichiarato -. Vuol dire non avere la più pallida idea di cosa capita nel mondo». I dubbi, infatti, sono tutti sulle operazioni di soccorso, sulle quali è la Guardia Costiera a tentare di fare chiarezza: la nave, si legge in una nota, è stata avvistata la sera di sabato 25 febbraio da un velivolo Frontex, che ha inviato una segnalazione al punto di contatto nazionale preposto per l’attività di law enforcement, informando, tra gli altri, per conoscenza, anche la Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma. Da qui l’attivazione dei mezzi della Guardia di Finanza per intercettare l’imbarcazione. «Alle 04.30 circa - prosegue la nota -, giungevano alla Guardia Costiera alcune segnalazioni telefoniche da parte di soggetti presenti a terra relative ad un’imbarcazione in pericolo a pochi metri dalla costa». Lì il personale di terra della Guardia Costiera arriverà solo un’ora dopo, alle 5.35, appunta la Questura. Quando la spiaggia è ormai un cimitero.