«Ho sentito una botta, ero sopra. Mi sono salvato a nuoto, salendo sopra un legno. Ci ho messo mezz'ora ad arrivare in spiaggia a nuoto. Ribadisco che ci ho messo mezz'ora e a terra non c'erano ancora i carabinieri». Khan Asif, uno dei sopravvissuti al tragico naufragio di Cutro, nel quale hanno perso la vita almeno 87 persone, era solo quando, miracolosamente, ha raggiunto la spiaggia a nuoto dopo che la nave su cui si trovava si è spezzata in due. Una tragica conferma del fatto che quella notte, nonostante le autorità sapessero della possibilità che una nave carica di migranti stesse affrontando il mare in tempesta, la macchina dei soccorsi è partita in ritardo. Tant’è che anche i primi ad arrivare sul luogo del disastro - i carabinieri - ci hanno messo almeno 30 minuti prima di raggiungere i naufraghi. Il particolare è emerso oggi, nel corso dell’incidente probatorio in corso davanti al tribunale dei minori, che si concluderà domani con gli ultimi quattro testimoni.

Da una parte, dunque, i sopravvissuti, dall’altra un 17enne, anch’egli scampato al tragico naufragio di Cutro, ma per la procura di Crotone tra gli scafisti che hanno intascato denaro per portare in Italia 180 migranti. Un’accusa che il giovane pakistano respinge, confortato dalle testimonianze in corso a Crotone. «Anche questa volta - spiega al Dubbio Salvatore Perri, difensore dei due pakistani accusati, assieme a tre turchi e un siriano, di aver organizzato la traversata -, uno dei testi sentiti nel corso dell’incidente probatorio ha confermato che il mio assistito ha tentato insieme a lui ad imbarcarsi qualche giorno prima dello sbarco poi terminato in tragedia, ma che non ci sono riusciti perché la barca non è arrivata e loro hanno fatto rientro a Istanbul con un taxi insieme anche all'indagato, taxi che hanno pagato un po' ciascuno». Il teste avrebbe inoltre spiegato che «chi poteva aiutare lo faceva e che è rimasto tutto il tempo del viaggio sulla coperta, soprattutto sulla prima nave. Ma non solo lui, circa una ventina di persone. Rispetto all’altro indagato che assisto - ha aggiunto -, il teste ha spiegato che da solo non poteva fare nulla: erano i turchi a dare indicazioni. Erano i turchi a indicare cosa fare e cosa dire e a spiegare come sarebbe andato il viaggio. Un teste - ha spiegato poi - ha riferito che i comandanti turchi hanno chiesto ai migranti di lasciare le lire turche che avevano e le avrebbero raccolte per loro. Ma non era assolutamente la quota di viaggio: a domanda specifica della difesa delle persone offese, hanno riferito che il viaggio è stato pagato con il metodo Hawala, ovvero mediamente il deposito a un soggetto terzo nel paese di provenienza». Presente all’incidente probatorio anche l'avvocato Francesco Verri, tra gli avvocati del team che assiste i parenti delle vittime. «Abbiamo ricevuto la conferma - ha detto dopo l’udienza - che sono trascorsi troppi tragici minuti dall'urto della barca con la secca fino a quando non sono arrivati i soccorsi, persino a terra. Questo aspetto sta emergendo prepotentemente nell'incidente probatorio».

I racconti dei superstiti sono chiari. «Mi hanno detto: “Vai con la nave e arrivi in Italia, senza specificare dove esattamente” - ha raccontato Khan Asif -. Era la prima volta che cercavo di venire. Sono salito su una prima nave bianca. Poi abbiamo cambiato barca. Non c'erano salvagenti in nessuno dei due casi. Molte persone si sentivano male. In questo caso potevano salire sopra per poco. Il permesso lo dava il comandante. Sono salito su, si vedevano le luci dell'Italia, il mare era grosso, c'erano onde». Poi lo schianto e l’arrivo, a nuoto, sulla spiaggia. «La prima barca era buona ma piccola. Poi ci siamo spostati su un'altra barca. La guidavano in tre - ha aggiunto -. I viaggiatori erano seduti sotto ma anche sopra. Potevamo salire tranquillamente sopra e fermarci 10/15 minuti. C'erano due persone che accompagnavano le persone su e giù. L'indagato era anche nella prima barca. La seconda barca era vecchia. Non c'erano salvagenti. Respiravo male e quindi salivo sopra - ha spiegato un altro testimone -. Sapevamo solo che ci avrebbero portato in Italia, non dove».

Il 17enne accusato di essere uno scafista «aiutava le persone a salire sopra, traduceva perché parlava turco. Viaggiava sopra, stava con un'altra persona del Pakistan. Uno dei due pakistani ha raccolto dei soldi sulla barca. Anche l'indagato ha raccolto denaro. Giravano con una borsa. Quando stavamo arrivando, la navigazione proseguiva tranquillamente. Il mare era agitato. Eravamo preoccupati. Avevamo anche ansia di arrivare. Anche quelli che stavano sopra erano coperti. Quando il mare si è molto agitato i comandanti sono scappati. Era buio. Non so nuotare, mi ha salvato Dio: sono stato espulso verso la riva con l’aiuto di un pezzo di legno. Quando sono arrivato a terra c’erano solo due pescatori, i carabinieri sono arrivati 10/15 minuti dopo. Ho pagato il viaggio in contanti in Turchia ma quel denaro è stato tenuto bloccato. Della consegna si è occupato mio cugino».