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Come uscirne? Ecco il quesito che costringe Palazzo Chigi a scervellarsi: come sfuggire alle sabbie mobili in cui si è tramutata, nella migliore tradizione degli incubi, la marcia trionfale verso la separazione delle carriere.
LA FATALE RINUNCIA AL SEGRETO DI STATO
È evidente come ai piani alti del centrodestra si sia diffusa, da alcuni giorni, una certa tensione. All’origine c’è un atto mancato: la rinuncia al segreto di Stato sul caso Almasri. Si riflette, con amarezza, sulla sottovalutazione dell’alert lanciato a inizio anno, nelle fasi iniziali dell’affaire libico, da Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza con delega ai Servizi: sarebbe preferibile apporre il segreto di Stato sulla vicenda.
Altri, nella cerchia ristretta della premier Giorgia Meloni, fecero notare, non senza elementi di verità naturalmente, come una mossa simile avrebbe scatenato contro il governo una tempesta di accuse su inconfessabili traffici con la Libia. Il rimedio, si disse, sarebbe stato peggiore dei rischi ( il “male” poi derivato dal rimpatrio del militare- torturatore non era ancora del tutto prevedibile). Solo Mantovano, da magistrato, aveva intravisto con più chiarezza il pericolo.
L’UNICA VIA D’USCITA: STRINGERE I TEMPI
Ma ora è tardi. Ed è troppo tardi anche per ignorare la trappola creatasi con l’indagine su Giusi Bartolozzi, capo Gabinetto del ministro, Carlo Nordio, autore della riforma- clou. Nelle analisi delle ultime ore, sempre più faticose e rarefatte, visto il prevalere dell’allarme per la crisi internazionale, l’unica via d’uscita per il governo sembra consistere in una decisa accelerazione dei tempi. Bisogna stringere sull’iter delle carriere separate, in modo che il via libera definitivo, il sì in quarta lettura a Palazzo Madama, arrivi nel giro di un mese, e comunque prima che le residue energie di Esecutivo e maggioranza vengano definitivamente risucchiate dalla sessione di Bilancio. È così che si spiega il colpo di frusta scoccato ieri nella Conferenza dei capigruppo a Montecitorio: mandato al relatore in commissione programmato per martedì 16 settembre, approdo nell’Aula per il voto finale il giorno stesso (come riferito in dettaglio in altro sevizio del giornale, ndr).
«Il governo, come aveva promesso, tira dritto con i tempi più brevi possibili sul sì in terza lettura della riforma della giustizia: e i tempi sono quelli già stati registrati all’epoca della riforma Renzi», sdrammatizza Luca Ciriani, ministro ai Rapporti col Parlamento, di FdI. Ma la scelta non è esattamente neutra: se non ci si sbriga e non si arriva entro i primissimi mesi dell’anno al referendum confermativo sulla riforma, ci sono due rischi fatali.
Il primo: più passa il tempo e più aumentano le probabilità che piombi, nel pieno della campagna per il Sì alle carriere separate, un rinvio a giudizio per Bartolozzi, con tutto quanto ne seguirebbe per l’immagine del governo e in particolare di Nordio, figura simbolo della riforma.
Ma il secondo fantasma che si aggira nei palazzi del governo è di una generica esposizione ad altre iniziative giudiziarie comunque ostili alla maggioranza, che indebolirebbero ulteriormente il fronte del Sì nella consultazione sulle carriere dei magistrati.
«BARTOLOZZI È L’OSTAGGIO DELLE TOGHE»
Non a caso la capo Gabinetto di Nordio è ormai apertamente definita «l’ostaggio catturato dalla magistratura», pronta, secondo l’interpretazione condivisa anche ai vertici dell’Esecutivo, a «consegnare Bartolozzi nelle mani dell’opposizione affinché ne faccia il bersaglio immediato delle peggiori accuse nei nostri confronti, proprio alla vigilia del voto sulla riforma Nordio». Perciò, prima ci si arriva, al voto pro o contro la separazione delle carriere, e meglio è, pensa chi, nella cabina di regia del governo, ha ancora tempo per occuparsi delle questioni giudiziarie.
Come segnalano le prime schermaglie, nella Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio, sul caso Almasri, al centro della nuova strategia dell’Esecutivo c’è l’iniziativa, parallela allo sprint sulla riforma in Parlamento, per sollevare conflitto di attribuzioni sulla mancata richiesta di autorizzazione a procedere per Bartolozzi. Intanto (come riferito in dettaglio da un altro articolo, ndr) l’organismo presieduto da Devis Dori ha chiesto agli uffici tecnici un approfondimento per valutare se sussista la connessione fra gli illeciti contestati alla dirigente di via Arenula e le accuse rivolte dal Tribunale dei ministri a Nordio, Piantedosi e Mantovano.
A invocare una verifica tecnica, sono stati in particolare i deputati che in Giunta rappresentano Fratelli d’Italia. E non sembra un caso, visto che sullo sfondo dell’intera vicenda c’è l’investimento politico della stessa Giorgia Meloni sulla separazione delle carriere. Una volta che la Giunta si sarà espressa, dovrà poi essere l’Aula di Montecitorio a deliberare il conflitto di attribuzioni e sottoporlo alla Corte costituzionale. A uno snodo simile ci si potrebbe arrivare per metà ottobre, al più tardi.
I TEMPI DEL “CONFLITTO” ALLA CONSULTA
Dopodiché Palazzo della Consulta si prenderebbe il tempo necessario per verificare l’ammissibilità del conflitto: circa 6 mesi secondo la prassi prevalente. Ma se la Corte valutasse di dover “stringere” il più possibile all luce del particolare rilievo politico istituzionale della questione, i mesi potrebbero scendere a quattro. Vorrebbe dire, certo, che l’impallinamento mediatico di Bartolozzi, e quindi di Nordio, e quindi dell’intero governo che ha voluto la separazione delle carriere, resterebbe sospeso per un bel po’, anche se l’argomento sarebbe comunque usato dagli avversari nella campagna referendaria. Fino alla pronuncia della Consulta, la vulnerabilità del centrodestra sarebbe attenuata.
D’altra parte, i margini sono sottili, e i rischi restano. Un no della Corte costituzionale allo scudo per la capo Gabinetto di Nordio sarebbe esiziale, se arrivasse prima del voto popolare sulla riforma. Il ricorso al conflitto dinanzi al giudice delle leggi è dunque una possibilità da maneggiare con cautela, per Palazzo Chigi. La verità è che la strada fino all’eventuale vittoria del Sì sulla riforma Nordio è piuttosto una giungla. E pensare di poter sfuggire a tutto questo, sarebbe da illusi.


