Crollato miseramente il teorema della (non) Trattativa Stato-mafia, rimane in piedi ancora l’asso nella manica, quella che permette di perdere altri anni di risorse. Una carta che vede come mandanti delle stragi Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, la quale ha sempre viaggiato parallelamente alla tesi trattativa. Anche se va in antitesi con essa.

Tale tesi della procura di Firenze non ha mai dato sbocco a un rinvio a giudizio. Puntualmente archiviata per mancanza di prove. Anche l’inchiesta trattativa fu inizialmente archiviata. Nel 2004, infatti, i pm di Palermo chiesero l’archiviazione a causa della non poca confusione dei risultati probatori raggiunti. Ma poi entrò in scena Massimo Ciancimino, colui che – ricordiamo ancora una volta – poi sarà condannato per calunnia, il “papello” da lui consegnato e dichiarato falso. L’inchiesta a quel punto venne riaperta nel 2008. Sarà grazie a Ciancimino jr. che le indagini furono estese nei confronti degli ex Ros e anche di Calogero Mannino. Grazie a Ciancimino - in quel frangente elevato a icona antimafia -, questa volta il terzo tentativo andò a buon segno: fu così possibile imbastire il processo trattativa.

Ebbene, dopo ben cinque tentativi, ora la procura di Firenze, per quanto riguarda la tesi di Berlusconi e Dell’Utri come mandanti esterni, potrebbe avere il suo “Ciancimino”. Parliamo di Salvatore Baiardo, riesumato per la prima volta dalla trasmissione Report. Tra sorrisini e ammiccamenti, ha affermato di aver visto le fotocopie della famosa agenda rossa di Borsellino in mano a diversi boss, da Graviano fino a Matteo Messina Denaro. Qualche settimana fa, attraverso Tik Tok (sic!), ha smentito quelle affermazioni dicendo chiaramente di aver trollato i giornalisti di Report. Ma pare che abbia trollato anche l’ignaro Massimo Giletti, conduttore di Non è L’arena, facendogli mostrare da lontano, e per pochi secondi, una foto dove a detta ci sarebbe ritratto Berlusconi, Graviano e il generale Francesco Delfino. Tutti e tre appassionatamente in un bar, a bella vista di tutti, sulle sponde del Lago d'Orta, in Piemonte. E proprio grazie a questa presunta foto, mai trovata con le perquisizioni disposte dalla procura, che i pm fiorentini hanno potuto riaprire per la quinta volta l’inchiesta.

Questo procedimento giudiziario, che indaga sulle stragi continentali del 1993, è un mix tra la vecchia inchiesta “sistemi criminali” condotta dagli ex pm palermitani Ingroia e Scarpinato archiviata nel 2000, e quella dove si riesuma l’ipotesi di personaggi esterni alla mafia che avrebbero partecipato agli attentati. Primeggia la vicenda della presenza delle “donne bionde”. In sostanza, si tratta di una specie di terzo livello composto da massoni, imprenditori, P2 e mafie di vario genere che avrebbero dato l’avvio alle stragi per destabilizzare la vita democratica nel nostro Paese. Un teorema che in realtà affiorava già ai tempi di Giovanni Falcone, visto che lui stesso – anche dopo aver vagliato la questione Gladio - l’ha stigmatizzato in tutte le occasioni.

Il teorema della procura di Firenze, come detto, confligge con quello della trattativa. Basterebbe un po’ di logica, che poi è quella che ritroviamo nella sentenza d’appello sulla trattativa che ha assolto con formula piena Marcello Dell’Utri. Secondo il teorema, l’ex senatore sarebbe stato colui che ha veicolato la minaccia mafiosa al governo Berlusconi. Cosa non torna? Secondo l’altra tesi giudiziaria, invece l’ex presidente del Consiglio sarebbe arrivato al governo grazie alle stragi e all’appoggio di Cosa nostra. E allora che bisogno c’era di minacciare?

Così come è difficilissimo trovare una logica nella tesi di Berlusconi e Dell’Utri come mandanti. Pensare che i boss corleonesi prendessero ordini da persone completamente estranee, vuol dire che Falcone non ci ha capito nulla di mafia. Ovviamente, non può essere. Parliamo di un giudice che aveva una mente talmente geniale, che lo stesso Riina l’ha annichilito per farlo soprattutto smettere di pensare. Per capire che si tratta di un’ipotesi che rasenta il fallimento logico, basterebbe attenersi ai fatti. Nel biennio delle stragi del ’92 e ’93, ancora non era nata Forza Italia. Berlusconi non poteva, come ha detto anche Riina nelle intercettazioni, essere avvicinato visto che non aveva nessun potere politico. «Era solo una palazzinaro!», ha detto Riina in 41bis. L’unico contatto era il pagamento del cosiddetto “pizzo”. Lo stesso Riina parla della minaccia di attentati alla ex Standa e ai ripetitori televisivi in Sicilia.

Non solo. Durante il processo Borsellino Ter, sia Giovanni Brusca che Angelo Siino e Tullio Cannella, hanno parlato di un consistente sostegno di voti fornito da Cosa nostra al partito di Forza Italia creato da Berlusconi in occasione delle elezioni politiche del 1994. Sostegno offerto nella prospettiva di ottenere consistenti modifiche anche legislative nel senso auspicato dall’organizzazione mafiosa (cosa mai realizzata, tra l’altro), ma nessuno di loro ha fatto riferimento a contatti tra quell’organizzazione e Berlusconi già nel 1992 nell’ambito della ricerca di nuovi referenti politici. Anzi, le dichiarazioni rese dai predetti pentiti sono state assai puntuali nel far riferimento al tentativo di Cosa nostra nel corso del 1993 di promuovere la nascita in Sicilia di un movimento politico indipendentista, una sorta di Lega del Sud, che si affiancasse a quella del Nord nel richiedere la creazione di una federazione di Stati che sostituissero quello unitario. Solo agli inizi del 1994, invece, tale progetto sarebbe stato accantonato per sostenere la nuova formazione politica promossa da Berlusconi. Ma sappiamo pure come è andata. La stessa Forza Italia si è poi separata dalla coalizione con la Lega Nord, da quel movimento, cioè, il cui collante - stando alle emergenze sulle leghe meridionali - avrebbe dovuto essere proprio il collegamento con Cosa nostra. Sappiamo che il governo presieduto da Berlusconi, cadrà dopo pochi mesi. Il fallimento logico del teorema che vede Berlusconi e Dell’Utri come mandanti delle stragi è evidente.