In confronto a quanto avvenuto nell’emiciclo di Montecitorio, le scintille sprigionate ieri mattina, nella Giunta per le Autorizzazioni della Camera, dallo scontro fra maggioranza e opposizione sul caso Almasri, ricordano il galateo dei duelli ottocenteschi. Pensate: i deputati di maggioranza sono arrivati a contestare al dem Federico Gianassi, relatore sulle accuse a Nordio, Mantovano e Piantedosi, di essersi «messo in minoranza», con il proprio intervento e con la scelta di astenersi dal voto sulla questione Bartolozzi. E anche il presidente della Giunta Devis Dori, di Avs, avrebbe «incrinato la propria posizione di terzietà» per aver definito «ultronea» la richiesta, rivolta ai magistrati, di chiarimenti sulla posizione della capo Gabinetto di via Arenula, approvata appunto a maggioranza. Siamo davvero su un altro pianeta, rispetto alla rissa divampata in Aula per il sì alla separazione delle carriere.

Ieri dunque, nel “tribunalino” presieduto da Dori, le delegazioni di FdI, Forza Italia, Lega e Noi moderati hanno votato la proposta, annunciata mercoledì, di inviare a Procura di Roma e Tribunale dei Ministri la nota su Bartolozzi. In particolare nel documento, che Dori ha già messo nelle mani del presidente della Camera Lorenzo Fontana, si chiede di conoscere se davvero la capo Gabinetto del guardasigilli sia indagata per falsa testimonianza in relazione alle dichiarazioni rese dinanzi al Tribunale dei ministri sul caso Almasri.

Nel caso, riporta il testo, è evidente come «le dichiarazioni assertivamente mendaci» di Bartolozzi sarebbero state rese, secondo Tribunale e Procura, «al fine di occultare i reati ascritti al ministro della Giustizia Carlo Nordio. Se è così, ci si troverebbe di fronte a una ipotesi di connessione teleologica tra il delitto contestato» a Bartolozzi e quelli contestati a Nordio e, quindi, «a una vis attrattiva di questo reato alla competenza della Camera».

Spiega il capogruppo di FdI in Giunta, Dario Iaia: «È vero che i media hanno riferito di un’iscrizione della dottoressa Bartolozzi a registro degli indagati. Ma il Parlamento, formalmente, non ha certezze, sull’avvio dell’indagine. Solo una volta che la magistratura, e la Procura di Roma in particolare, avrà dato notizia ufficiale sul procedimento, la Camera potrà valutare se si tratti, diversamente da quanto pensano il Tribunale dei ministri e l’Ufficio inquirente capitolino, di una condotta connessa a quelle per le quali è stata chiesta l’autorizzazione a procedere nei confronti dei tre componenti del governo. Solo attraverso tale percorso si potrà arrivare alla decisione, eventuale, di sollevare conflitto di attribuzione, nei confronti della Procura, dinanzi alla Corte costituzionale».

Iaia ieri ha ribadito un’altra cosa: «Noi avanziamo questa richiesta di chiarimenti senza alcun intento dilatorio. Il calendario relativo alle posizioni dei due ministri e del sottosegretario alla presidenza seguiranno la tabella di marcia prevista». Ed è così: lo stesso Dori, che ha disertato il voto come è di prassi, nel caso di chi guida la Giunta, ha confermato le date delle prossime riunioni sul dossier Almasri: «Ci vedremo il 23 o il 24, a seconda degli impegni d’Aula, per poi votare il 30 settembre la proposta del relatore sulla richiesta di autorizzazione a procedere».

Dopodiché toccherà appunto alla plenaria di Montecitorio decidere se accogliere o respingere la pretesa di mettere alla sbarra l’autore della separazione delle carriere, il capo del Viminale e il sottosegretario con delega ai Servizi. Proprio Mantovano ieri, alla presentazione della rivista ‘ Gnosis’, curata dal Dipartimento delle informazioni per la sicurezza ( Dis), ha ricordato fra l’altro che mai, finora, il governo Meloni ha apposto il segreto di Stato, e che in qualche caso «tale scelta ci è stata rimproverata».

Alludeva al caso Almasri, ovviamente. Che si complica alquanto. Innanzitutto perché, come detto, la questione relativa a Bartolozzi viaggerà su un convoglio distinto e successivo, rispetto a quello principale. E poi perché la scelta di capire se, come si ripete fra Palazzo Chigi e via Arenula (con riflessi anche nella memoria difensiva depositata dall’Esecutivo in Giunta per le autorizzazioni), «il Tribunale dei Ministri disconosce il nesso fra il reato della capo di Gabinetto e però in questo modo finisce per far processare, attraverso di lei, l’intero Esecutivo», presenta alcuni inconvenienti.

Si reagisce, sì, alla presunta strategia delle toghe, si evita il rischio di vedere Bartolozzi “detenuta” in ostaggio mediatico dagli avversarti in piena campagna referendaria sulle carriere separate, ma si determina comunque un altro pericolo: la Corte costituzionale si potrebbe pronunciare, sull’eventuale conflitto, entro quattro mesi dal momento in cui riceverà gli atti da Fontana, il che vuol dire che un’eventuale ordinanza di inammissibilità potrebbe arrivare, da Palazzo della Consulta, anche a pochi giorni dal voto popolare sulla riforma Nordio.

Una prospettiva devastante, sul piano mediatico. Che però ora il governo considera, forse non a torto, una netta riduzione del danno. Due giorni fa, in Transatlantico, il Guardasigilli aveva osservato che «nel testo del Tribunale dei ministri c'è quello che si chiama un ’ nesso teleologico’ tra quello che avrebbe fatto la capo gabinetto e quanto fatto dal ministro».