Ancora una volta, il governo di Benjamin Netanyahu mette nel mirino il potere giudiziario. L’ultimo bersaglio è Yifat Tomer-Yerushalmi, generale di divisione e procuratrice militare, arrestata la sera del 2 novembre dopo ore di misteriosa scomparsa. Secondo fonti di polizia, la giurista avrebbe lasciato un biglietto nella sua auto abbandonata, lasciando intendere che avrebbe potuto togliersi la vita.

Pochi giorni prima era stata costretta alle dimissioni, accusata di aver autorizzato in segreto la diffusione di un video che mostra le torture di alcuni militari israeliani nei confronti di prigionieri palestinesi. Il filmato, registrato dalle telecamere di sorveglianza della base di Sde Teiman, mostra un gruppo di soldati che circonda un detenuto palestinese, lo picchia e infine lo violenta. Le immagini, trasmesse a fine ottobre da Channel 12, avevano provocato indignazione internazionale e imbarazzo al governo impegnato nella sanguinosa offensiva di Gaza.

Il video era stato pubblicato pochi giorni dopo l’irruzione, nella stessa base, di decine di militanti dell’estrema destra e di alcuni parlamentari della coalizione governativa, accorsi per protestare contro la detenzione dei soldati coinvolti. L’esercito, costretto a reagire, aveva finito per incriminare lo scorso 21 ottobre cinque militari per “violenze volontarie”. 

Il ministro della difesa Israel Katz ha immediatamente aperto un’indagine penale — non sugli abusi dei militari, ma sulla pubblicazione del video che li documentava. Accusata di essere la “talpa” responsabile della divulgazione, Tomer-Yerushalmi è stata sospesa “in via precauzionale”. Pochi giorni dopo, la sua carriera era già finita.

Nella lettera di dimissioni, la giurista ha ammesso di aver autorizzato la diffusione, rivendicando tuttavia il dovere morale di indagare «ogni sospetto ragionevole di violenza contro un detenuto». Poi, con grande senso di rassegnazione, ha aggiunto che «questo principio elementare non convince più tutti». Katz ha definito «necessaria» la sua sospensione, sostenendo che «la sua opera di diffamazione l’ha resa indegna di indossare l’uniforme».

Nominata nel 2021, era da tempo attenzionata per le sue prese di posizione considerate troppo critiche verso la guerra. Nei primi mesi del conflitto – durante il quale oltre decine di migliaia di abitanti di Gaza sono rimasti uccisi, aveva messo in guardia i soldati nel compiere saccheggi, umiliazioni pubbliche di prigionieri palestinesi e in generale condannando «l’uso sproporzionato della forza». In una lettera pubblicata da Haaretz lo scorso febbraio, aveva ricordato che diversi episodi, già oggetto di indagini interne, dovevano essere deferiti alla giustizia penale.

Da quel momento, la stampa vicina al governo le ha dichiarato guerra. In giugno, il canale 14, l’ha accusata di essersi opposta al bombardamento di un edificio a Gaza, attribuendole indirettamente la responsabilità della morte di quattro soldati rimasti uccisi da un ordigno all’ingresso del palazzo. Secondo rivelazioni successive, avrebbe spesso frenato la macchina giudiziaria militare per timore delle rappresaglie politiche.

Fonti anonime hanno raccontato a Haaretz che la giurista aveva evitato di aprire indagini su alcuni possibili crimini di guerra, come l’attacco aereo che il primo aprile 2024 uccise sette operatori della ONG World Central Kitchen, o l’esecuzione di quindici soccorritori gazawi a Rafah, il 23 marzo 2025. In entrambi i casi, avrebbe temuto il «linciaggio mediatico» dell’estrema destra. Ad agosto, durante una riunione, si era detta contraria all’invasione della città di Gaza, sostenendo che avrebbe solo aggravato l’isolamento politico e diplomatico di Israele.