Patrick Zaki, pur ammettendo di essere «preoccupato» per le passate accuse di istigazione al terrorismo che la Procura egiziana aveva mosso sulla base di post su Facebook, ha detto di non ritenere che questo dossier verrà mai riaperto. «Certo, sono preoccupato ma non penso che possano farlo. Perché dovrebbero farmi questo? Non c'è ragione», ha detto all'ANSA lo studente egiziano dell'Università di Bologna rispondendo alla domanda se teme di essere posto sotto accusa su quel fronte dopo un'eventuale assoluzione nel processo per diffusione di notizie false che si concluderà il 6 aprile a Mansura. Udienza, quella odierna, che si è tenuta a porte chiuse con la presenza in aula dei diplomatici di Italia, Belgio, Germania, Usa e Spagna. I dieci post pubblicati su un profilo che lui ritiene falso erano stati alla base dei 19 mesi di custodia cautelare in carcere che avevano preceduto l'apertura, a settembre, del processo nella sua città natale sul delta del Nilo. Le accuse iniziali basate sui post avevano configurato fra l'altro i reati di «diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza e ai crimini terroristici» facendogli rischiare 25 anni di carcere. Il procedimento, la cui conclusione è attesa oggi, è invece incentrato esclusivamente su un suo articolo del 2019 sulle discriminazione dei cristiani egiziani. Per la mera «diffusione di notizie false dentro e fuori il Paese» ipotizzata in merito all'articolo, la pena massima è di cinque anni di reclusione.