Ha un elevatissimo standard delle condizioni di detenzione, è una struttura considerata di assoluta eccellenza dal punto di vista delle condizioni sanitarie, infrastrutturali e per l’elevato livello tecnologico. Da poco, i due carabinieri condannati dalla Cassazione a 12 anni per l'omicidio di Stefano Cucchi, hanno varcato la soglia di questo carcere modello: il penitenziario militare di Santa Maria Capua Vetere. Parliamo di una struttura che fa parte della giustizia militare. Si tratta di un sistema penitenziario e giudiziario parallelo. Ha il suo carcere, la sua amministrazione penitenziaria, i suoi tribunali, magistrati e Consiglio superiore della magistratura annesso. Ad occuparsi di tutta l’organizzazione non è però il ministro della Giustizia ma quello della Difesa.

L’Organizzazione Penitenziaria Militare (Opm), gestisce l’amministrazione

Come ogni sistema penitenziario si rispetti, anche quello militare ha il suo Dap. Però si chiama diversamente: Opm e sta per Organizzazione Penitenziaria Militare. Quest’ultima è inquadrata nell’Organizzazione di Vertice della Forza Armata, e rappresenta l’unica realtà del genere in tutto il territorio nazionale ed europeo, con competenze interforze e molteplici relazioni interministeriali, che assolve il delicatissimo compito di assicurare la detenzione del personale militare e di quello appartenente ai Corpi Armati dello Stato a disposizione dell’Autorità Giudiziaria Militare e di quella Ordinaria. La ragione di tale particolare collocazione organica è da individuare nell’eccezionalità e assoluta unicità delle funzioni svolte dall’Organizzazione che può essere definito l’Organo di vertice nella gestione del trattamento penitenziario e dei detenuti ristretti presso gli Istituti penitenziari militari. Il 5 giugno 2008 lo Stato Maggiore dell'Esercito ha istituito il distintivo di appartenenza per il personale effettivo all’Organizzazione Penitenziaria Militare. A forma di scudo sannitico ha il bordo dorato su fondo bianco e una banda rossa nel mezzo quali colori tradizionali della Regione Campania. In cuore alla banda rossa è inserita l’Aquila color oro quale simbolo di appartenenza allo Stato Maggiore dell'Esercito.

L’unico carcere militare è a Santa Maria Capua Vetere

Oggi ne esiste solo uno di istituto di pena militare e si trova in Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta. Fino al 2005 esistevano diverse carceri militari. Si trovavano a Gaeta, Pescheria del Garda, Forte Boccea, Cagliari, Sora, Palermo, Bari, Torino e Pizzighettone. A dispetto di tutti gli altri istituti penitenziari ordinari, quello militare risulta un carcere modello e ha un numero esiguo di ristretti. Molto al di sotto della capienza regolamentare. I detenuti sono pochi perché le sentenze sono diminuite grazie all’abolizione, dal 2005, della leva obbligatoria nell’esercito, che ha drasticamente abbattuto i reati militari un tempo più diffusi, dalla diserzione alla mancanza alla chiamata. Il carcere militare può essere posto ad esempio: ha un elevatissimo standard delle condizioni di detenzione, è una struttura considerata di assoluta eccellenza dal punto di vista delle condizioni sanitarie, infrastrutturali e per l’elevato livello tecnologico. Di detenuti militari ce ne sono pochi, paradossalmente la maggior parte sono poliziotti e carabinieri. Parliamo di un carcere dove non esiste un clima di distacco che solitamente avviene nei penitenziari italiani “civili”: pur nel rispetto dei ruoli, il comandante fa anche da padre, consigliere, a volte amico. Si lavora, esiste la possibilità di coltivare, partecipare a laboratori di cucina e falegnameria. La riabilitazione funziona.

Il garante campano Ciambriello: «Una struttura a misura d’uomo»

A confermarlo è stato il garante regionale Samuele Ciambriello che vi ha fatto visita l’anno scorso. Accompagnato dal tenente colonnello Rosario del Prete, comandante/ direttore del carcere ha visitato le celle (singole, doppie o triple) con bagni dotati di doccia, la mensa collettiva e i vari laboratori di bricolage, pittura, ceramica. «Ho trovato una struttura a misura d’uomo, nella quale le persone “diversamente libere” vivono la privazione della libertà nel rispetto della dignità umana, sia negli spazi (singoli e comuni), che sono funzionali al trattamento, alla rieducazione e al rispetto delle norme di sicurezza. Ho potuto visitare l’area verde, che consente ai detenuti di svolgere attività di giardinaggio, una palestra, la sala colloqui, che è un ambiente familiare e confortevole», ha raccontato Ciambriello. Almeno nel momento della visita c’erano 52 persone ex appartenenti alle Forze armate che scontano pene detentive a seguito di condanne per reati propri e comuni. «Parliamo di un carcere – come conferma anche il garante regionale – dove non esiste un clima di distacco che solitamente avviene nei penitenziari italiani “civili”», ha confermato il Garante. Nel passato, più volte si è detto di sopprimerlo, ma forse, viste le gravi criticità degli istituti penitenziari, bisognerebbe estenderlo e replicarlo anche ai “civili”.

Da anni la giustizia militare attende una riforma

Ma ritornando, più in generale alla giustizia militare in tempo di pace, bisogna ricordare che da molti anni attende di essere riformata. Correva l’anno 2013 quando l’allora ministro della Difesa Mario Mauro si impegnava di fonte all’apposita commissione della Camera a mettere mano alla giustizia militare, organo a parte della magistratura italiana con un’attività di lavoro irrisoria e impossibile da scalfire, ma con un peso non indifferente sui conti dello Stato. Parliamo di un totale di 58 magistrati, tra giudicanti e inquirenti, con uno stipendio medio di 150mila euro, che in totale ci costano 20 milioni di euro all’anno. Hanno un loro organo di autocontrollo, il Consiglio della magistratura militare (Cmm) equivalente del Consiglio superiore della magistratura (Csm). Il Cmm è, infatti, competente a deliberare su ogni provvedimento di stato riguardante i magistrati militari e su ogni altra materia ad esso devoluta dalla legge.

Il doppio binario: la giustizia ordinaria e quella militare

La giustizia militare risulta iper efficiente semplicemente perché la mole di lavoro è bassissima. In sostanza è una grande macchina, con posti d’oro, ma con pochi oneri per chi vi opera. Dai dati emerge che la produttività nell’ambito della giurisdizione militare è al limite dell’insignificanza statistica per la pochezza numerica e qualitativa del contenzioso penale. Per questo c’è necessità di una riforma che però è rimasta nel limbo. Sono due le scuole di pensiero che si scontrano: una ritiene che la magistratura militare abbia esaurito la sua funzione e debba essere soppressa e assorbita dentro i ranghi della magistratura ordinaria perennemente sotto organico, magari in una sezione specializzata; l’altra è quella di non sopprimerla, ma di aumentare la rosa di reati su cui hanno competenza, sgravando in questo modo gli ordinari di una parte – seppur minima – del contenzioso di cui sono carichi. A questo si aggiunge un altro problema. Facciamo l’esempio di Walter Biot, Capitano di Fregata della Marina Militare italiana. Le accuse contro l’Ufficiale sarebbero quelle di spionaggio per aver ceduto, in cambio di denaro, documenti riservati a un militare Russo. La prima udienza sarà innanzi al Tribunale Militare di Roma. I legali di Biot hanno sollevato il tema del conflitto tra giurisdizione Militare e quella Ordinaria; condizione questa, che allo scopo di ottenere una pronuncia definitiva, li ha indotti ad interessare la Corte di Cassazione. Cosa significa? Il personale con le stellette, come ha affermato ultimamente anche il Procuratore Generale Militare, si trova ad affrontare doppie spese legali poiché, la stragrande maggioranza delle violazioni, a causa di una confusione stratificata di regole, approda sia alla Procura Ordinaria, sia a quella Militare.