Tutto contrasta. In un quadro drammatico, che si aggrava di ora in ora. Alfredo Cospito resta all’ospedale San Paolo di Milano, nel reparto singolarmente intitolato “di medicina penitenziaria”, come se la salute dei reclusi andasse trattata diversamente rispetto ai liberi.

Ha valori che il suo legale Flavio Rossi Albertini definisce anomali, in particolare quelle oscillazioni del potassio ora fermo a 3.2 dopo aver toccato quota 4, e in grado di far temere per il cuore. Sempre l’avvocato riferisce dell’ultimo colloquio, in cui l’anarchico, dice, è parso «lucido seppur provato, certo molto determinato nel portare avanti la propria battaglia contro il 41 bis, ma anche preoccupato che i medici abbiano le flebo già pronte». E cioè che quei “trattamenti sanitari” rifiutati con la firma in calce alle “Dat” possano scattare non appena il quadro clinico precipitasse definitivamente.

A maggior ragione dopo che lunedì il Comitato di bioetica, seppur a maggioranza, ha espresso parere favorevole a eventuali interventi salvavita “forzosi”. Così, proprio mentre l’organismo degli scienziati certificava, nel comunicato stampa dell’altro ieri sera, le spaccature al proprio interno, il difensore di Cospito ha giocato l’ultima carta per sottrarre il proprio assistito alla prospettiva di un Tso, un trattamento sanitario obbligatorio: ha depositato dinanzi al Tribunale di Sorveglianza di Milano un’istanza di “differimento pena per motivi di salute”, con temporanea commutazione dal carcere (e quindi dal 41 bis contro il quale l’anarchico è in sciopero della fame da 139 giorni) ai domiciliari, che verrebbero scontati a casa della sorella di Cospito. Fissata l’udienza: se ne parla fra più di due settimane, il 24 marzo.

«Alfredo non ha vocazioni suicide», dice Rossi Albertini, «la sua è una lotta per la vita, non per la morte». D’altra parte un uomo di 55 anni che non tocca cibo da oltre 4 mesi, che ha ricominciato a rifiutare gli integratori e che ieri, quando ha provato a bere un po’ d’orzo, si è sentito male, non è esattamente in una situazione tranquilla. E non lo è anche per il timore che la sua battaglia frani nell’ineluttabilità delle cure forzate, sempre meno ipotetiche. Il Comitato di bioetica ha fatto cadere le ultime remore etico- giuridiche: come anticipato ieri sul Dubbio dall’articolo di Valentina Stella, l’organismo interpellato dal guardasigilli Carlo Nordio lo scorso 7 febbraio si è espresso a maggioranza dei propri componenti (25 contro 11) per l’idea che il diritto all’autodeterminazione dell’individuo, e la validità di dichiarazioni anticipate di trattamento in cui il recluso rifiuti le cure anche in vista di una perdita di coscienza, vengano meno in caso di «imminente pericolo di vita, quando non si è in grado di accertare la volontà attuale del detenuto». In un caso simile «il medico non è esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi atti a salvargli la vita: né le autorità penitenziarie, né i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna».

Poiché si tratta di un consesso di scienziati e studiosi di bioetica, non certo di una commissione parlamentare, il Comitato presieduto dal professor Angelo Vescovi non ha cassato le “dissenting opinions”: in 9 si sono schierati nettamente per la validità delle Dat di Cospito, e in 2 hanno sollecitato un’improbabile legge che componga il dilemma. Dopodiché, oltre a diffondere il comunicato stampa che, con correttezza, certifica questa divaricazione interna, il Comitato di bioetica ha messo a disposizione dell’opinione pubblica un primo documento con le riflessioni svolte. Il primo slot del “verbale” porta un po’ fuori strada, perché costituisce un’ampia premessa condivisa da tutti, in cui si afferma che nessuno può essere conculcato nella propria dignità, quando si tratta di diritto alla salute. Un nonsense, a dire il vero, visti gli orientamenti dichiarati con onestà nel comunicato, che ieri però ha fuorviato, per alcune ore, la macchina dell’informazione, in cui è prevalsa appunto l’idea di un deliberato rispettoso delle Dat di Cospito. Non è così, evidentemente.

Di fronte alla prospettiva di veder non solo fallita la battaglia per la revoca del 41 bis ma di essere persino curato a forza da quello Stato di cui neppure riconosce l’autorità, Cospito ha dunque chiesto al proprio difensore di accelerare sull’ultima opzione, il differimento pena per motivi di salute, chiesto lunedì sera al Tribunale di Sorveglianza milanese.

Sospendere, o differire che dir si voglia, vuol dire uscire dal carcere, non solo dal 41 bis. A quel punto Cospito riprenderebbe a mangiare, e si eviterebbe una tragedia dalle conseguenze imprevedibili. Solo che lo stesso istituto del differimento pena suscitò furibonde indignazioni quando, tre anni fa, il Dap di Alfonso Bonafede “osò” incoraggiarne la concessione, in pieno covid, anche ai detenuti di mafia con particolari fragilità cliniche. Riuscirà l’Italia a tenere sotto controllo i propri nervi o favorirà la definitiva tragedia con il solito rigurgito di moralismo giustizialista?