Mani Pulite iniziò il 17 febbraio del 1992. Trent’anni dopo si tirano le somme. Quale è la lezione di Tangentopoli? «Nel tempo ho compreso che le difficoltà che i miei colleghi e io abbiamo incontrato sono state enormi per una ragione semplice: non si può processare un sistema prima che sia caduto». A rispondere all’Adnkronos è Piercamillo Davigo, all’epoca uno dei pm dell’inchiesta del pool guidato da Francesco Saverio Borrelli che nel 1992 sconvolse l’Italia, il suo sistema politico ed economico. «All’inizio delle indagini sembrava che i guasti fossero limitati ai partiti politici, neppure tutti, e alle imprese che avevano rapporti esclusivi o prevalenti con la pubblica amministrazione. In seguito tuttavia ci siamo resi conto che il malaffare era dilagato ben oltre questi limiti: le falsità contabili erano diffuse. Oggi l’evasione fiscale riguarda, secondo alcune stime, 12 milioni di persone, cioè un quinto della popolazione italiana». «Il merito cede il passo a clientele, raccomandazioni e servilismo, sia nel settore pubblico, sia in quello privato. Nella cittadinanza non sembra esservi riprovazione e neppure la consapevolezza che tali comportamenti, oltre a essere illegali, sono dannosi». Lei sta dicendo che non c’è più etica? «Nessun popolo, cioè l’insieme dei cittadini, può vivere se non vi è un’etica condivisa e in Italia non sembra più esserci. Fra i valori predicati e i comportamenti praticati vi è una differenza abissale».  «E anche nel caso in cui si conviene su alcuni principi, come per esempio "non rubare", scattano poi i distinguo nella sfera pubblica e interviene lo spirito di fazione, così radicato in nel nostro Paese. Si ricorre a un cavilloso richiamo a norme costituzionali anche quando si va in campi diversi da quelli regolamentati dalla Costituzione». A cosa si riferisce? «Quando a carico di qualcuno emergono indizi di reato, è frequente che costui (e i suoi sostenitori) invochino la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva di condanna (art. 27 della Costituzione), anche al di fuori del processo penale, quando non si discute di diritti dell’imputato, ma di valutazioni di opportunità o di prudenza nella vita sociale». «I cattivi non vincono sempre - sostiene Davigo - La consolazione, per quanto magra, è che neppure loro sono (per ora) riusciti a vincere. Le leggi per farla franca hanno attirato l’attenzione di organismi internazionali e i loro rilievi sono stati un deterrente a continuare su quella strada». «Numerose leggi sono cadute sotto le pronunzie della Corte costituzionale che ne ha dichiarato l’illegittimità. I tribunali e le corti italiane hanno adottato interpretazioni volte a salvaguardare il sistema legale. Le elezioni hanno messo in evidenza una minore presa dei poteri locali e nazionali sull’elettorato, molto più volatile che in passato, consentendo anche un’alternanza di schieramenti al governo del Paese che è un’esperienza relativamente nuova in Italia». Rimangono i poteri criminali e le loro collusioni con la politica e l’economia, i più difficili da affrontare. «La magistratura italiana ha fronteggiato varie emergenze come la criminalità organizzata, il terrorismo, la corruzione pervasiva e il degrado ambientale, senza riuscire a eliminarle del tutto. Ma anche senza farsene travolgere. Dopo la vicenda Palamara che accade? «Il discredito gettato sull’ordine giudiziario dalle intercettazioni operate nei confronti di Luca Palamara, e ancor più la sua linea difensiva di tentare di accreditare l’idea che i suoi comportamenti fossero condivisi e perpetrati da larga parte della magistratura -cosa non vera- richiederà molto tempo per essere superato». «Il bilancio complessivo rischia di assomigliare a uno stallo, in cui nessuno dei vari soggetti e dei loro valori riesce a prevalere sugli altri, e ciò è fonte di scoramento». Lei stesso sta attraversando una vicenda giudiziaria complessa, non ancora chiarita: quella collegata alle dichiarazioni di Pietro Amara sull’esistenza della loggia massonica segreta "Ungheria" e alla sua iscrizione nel registro degli indagati della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Brescia per rivelazione di segreto d’ufficio. A che punto è? «Attualmente sono in udienza preliminare che dovrebbe concludersi proprio il 17 febbraio con il rinvio a giudizio o con il proscioglimento. Nonostante il tripudio di coloro che pensano che essere indagato mi faccia cambiare idea sull’inefficienza del processo penale italiano, non ho perduto la fiducia nella giustizia e attendo il corso del procedimento» (di Rossella Guadagnini/Adnkronos)