Diciotto mesi in carcere e poi l’assoluzione. Antonio Caridi, ex senatore di Forza Italia, incassa la pronuncia del Tribunale di Reggio Calabria come un ritorno alla vita, dopo cinque anni in cui ogni cosa è rimasta in sospeso. Accusato di associazione mafiosa, l’ex politico respinge ogni accusa cacciando vie le ombre dal suo curriculum: con la ‘ndrangheta, assicura, non c’entra nulla. E ora che tutto è finito, insieme alla gioia non nega di provare anche amarezza, soprattutto nei confronti di quella politica dalla quale si sente tradito. Tant’è che non ne vuole più sapere nulla: «Per me la politica è finita il 4 agosto 2016. Farò il medico e basta, che poi è la cosa più bella del mondo», racconta al Dubbio. Dottore, cos’ha provato dopo l’assoluzione? Gioia. Mi sono riappropriato della mia vita, che mi era stata rubata. Sono sereno, perché vedo la mia famiglia finalmente tranquilla. Mio padre, ad 85 anni, non era sicuro di poter vedere la fine di questa storia. Voglio ringraziare loro e i miei avvocati, dopo un incubo durato cinque anni e 18 mesi passati in carcere in alta sicurezza. È un obbligo non soltanto morale: lo devo alla grande professionalità e umanità di Valerio Spigarelli e Carlo Morace. Ma è stato anche un momento di grande riflessione: io credevo tanto nella mia innocenza, ma i giornali, che mi hanno dipinto come il mostro da mettere dentro subito, oggi sono assenti. Solo qualche articoletto. E questo mi fa molto male. Ce l’ha con la stampa? Dopo la richiesta di arresto, i tg nazionali mostravano la mia foto ripetendo tutte le cose che venivano contestate. Oggi vedere che nessuno dica che una persona che cinque anni prima è stata mortificata e umiliata è stata assolta fa rabbia. Io mi sono difeso dal primo giorno e inviterei i giornalisti a riguardare il dibattito in Senato sulla mia difesa e, soprattutto, gli attacchi che ho subito dalle parti politiche che hanno votato il mio arresto senza nemmeno leggere le carte. Quella sera, prima di consegnarmi, ho guardato mia moglie e mia sorella negli occhi con la coscienza a posto, non so se i miei colleghi - e non so se posso chiamarli così - hanno potuto farlo. E non so se possono farlo tuttora. Chi l'ha ferita di più tra i suoi colleghi? Quelli del Pd, eccetto il senatore Luigi Manconi, che ha dichiarato in aula il suo voto contrario, perché è stato l’unico a leggere le carte. Poi i 5 Stelle. Molte persone di quella stessa parte politica, mentre io parlavo, giocavano con il telefonino o l’iPad. Qualche individuo, non lo chiamerei senatore, ha detto delle frasi che di notte mi capita ancora di risentire. Sono sempre dentro di me, perché non mi ci riconoscevo. La verità è che si è trattato di un attacco politico, ma soprattutto hanno mortificato un essere umano. Molti si professano cattolici e dovrebbero avere rispetto per le altre persone, ma se mandano in carcere la gente con questa facilità non so quale attività possano svolgere dentro le Camere di appartenenza. Qualcuno si è fatto vivo, oggi? Mi hanno chiamato quelle persone che mi sono sempre state vicine. Ma parlo di rapporti personali, non di politica, perché quella per me è una parentesi chiusa. Non si ricandiderà? No. Per me la politica è finita il 4 agosto 2016. Non la sento più mia e non la farei con lo stesso animo di prima. Ho cose più importanti a cui dedicarmi, come la mia famiglia e il mio lavoro. Devo recuperare 18 mesi di carcere, anche se non è possibile, perché è un segno che mi porterò sempre dentro e che vedrò anche in chi mi vuole bene. Ha paura che possa ricapitarle qualcosa del genere? Paura no. Sa come si dice? Male non fare, paura non avere. Ma non lo farei più come prima e non potrei più dare risposte ad una terra, la Calabria, che è mortificata quotidianamente. E non vado nemmeno a votare, dal 2016: la paura è che qualcuno possa sempre dire “chissà”. Non lo farà più? Esistono anche le vacanze nella vita. Come sono stati quei 18 mesi in carcere? Il carcere rappresenta la civiltà di un Paese. E siamo un Paese incivile. Vivevo con cinque persone dentro cinque metri quadrati, con il bagno turco e senza docce. Ventidue ore al giorno chiuso in cella. Subito dopo essere uscito dal Senato ed essermi consegnato mi sono ritrovato in isolamento, in una cella due metri per due, senza prendere aria e con cibo inesistente. E questo per otto giorni. La mia forza stava nella volontà di superare quel momento sapendo che ero innocente e quindi dovevo e potevo difendermi. Ho pensato a me, alla mia famiglia, alla loro sofferenza e a quella dei miei amici, quelli vicini, perché in questi momenti scappano tutti. In 18 mesi ho sentito la mia famiglia due volte al mese e l’ho incontrata quattro ore al mese. Questo è il carcere, un posto dove non hai i servizi igienici e i riscaldamenti. E fuori è uguale: quando si manda in carcere una persona senza una prova per la stampa si è subito colpevoli. Vieni trattato come un criminale. La politica deve avere il coraggio di riflettere su questo, ma ho qualche dubbio, sinceramente. Dopo i pestaggi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere qualcosa potrebbe cambiare, non crede? Ci sarà stata un po’ di indignazione, ma tanti hanno anche pensato “hanno fatto bene, perché sono dei delinquenti”. E ciò pur senza sapere se sono colpevoli o innocenti. Per la gente si tratta di delinquenti solo perché sono in carcere. Toccherebbe alla politica far riflettere su questi temi, ma la politica oggi non c’è. Cosa ha portato fuori dal carcere con sé? Sofferenza. Ne provo ancora. E penso a quella che ho visto negli altri. Si può essere anche colpevoli, ma la dignità dell’uomo non può essere calpestata. Ma lì dentro si viene trattati come animali, da chiudere in un canile 22 ore al giorno. Senza potersi fare una doccia se ci si sporca, con gli orari stabiliti per andare in bagno. Costretti a rimanere chiusi in cella anche durante un terremoto, con la paura che crolli tutto e si rimanga uccisi. E tutto questo senza mai essere stato condannato e, all’epoca, con due Cassazioni favorevoli. Il Senato ha votato l’arresto prima che si pronunciasse il Tribunale della Libertà, quindi mi ha giudicato prima la politica e poi la giustizia. Ma prima di mandare in carcere qualcuno bisogna avere delle prove. Senza prove o senza necessità enormi bisognerebbe fare attenzione prima di privare qualcuno della libertà. È la cosa peggiore al mondo. Per la Dda lei è stato sempre eletto con i voti delle cosche. Per ben tredici anni, sin dalla prima candidatura e fino al Senato. Come si difende da queste accuse? Non voglio entrare nei particolari: il processo è durato cinque anni, mi sono difeso con i denti e soprattutto lo hanno fatto i miei avvocati. Ma la Cassazione è stata chiarissima: non c’era nessun riscontro in atti sul piano della gravità indiziaria. Con la 'ndrangheta io non c'entro nulla. E voglio dire solo una cosa: nell’ordinanza si parla di me come di un quasi sconosciuto che è stato scelto dalla mafia. Ma io non ero uno sconosciuto: mio padre è stato vicesindaco di Reggio Calabria, su 20 familiari stretti 18 sono medici. Mia madre era direttrice dell’ufficio di collocamento. Non sono stato “portato” da nessuno, mi ha votato la gente comune, che mi ha sempre voluto bene e continua a volermene. In ogni caso, sono stato assolto perché il fatto non sussiste. Non dobbiamo spiegare niente a nessuno, non devo dare, ancora oggi, conto a nessuno. Sono innocente, come lo sono sempre stato. La sentenza parla chiaro. Quello che vorrei fare è invitare la politica a riflettere. È anche bello ammettere di aver sbagliato e io, se sbaglio, chiedo scusa. Ma non ho ricevuto nemmeno una telefonata da chi quel giorno ha votato il mio arresto. Si aspettava che qualcuno si facesse vivo? Non me l’aspettavo e non me l’aspetto, perché ho visto l’isolamento da parte della politica in quei 18 mesi. C’erano solo la mia famiglia e i miei avvocati e solo tre colleghi sono venuti a trovarmi: Pietro Iurlaro, Fabrizio Di Stefano e Luca D’Alessandro. Di Maio, recentemente, ha chiesto scusa all’ex sindaco di Lodi. Qualcosa sta cambiando? L’ex sindaco di Lodi è del Pd. La maggioranza, oggi, è quella e l’interesse di Di Maio sta tutto lì. Si difendono tra loro. Lo hanno fatto sempre e lo faranno sempre. Quel 4 agosto è stato anticipato l’ordine del giorno per votare il suo arresto. Cos’ha pensato? Era un modo per dimostrare al Paese di aver preso con le mani nel sacco un senatore. Ma cosa dovevano dimostrare? Ho ancora in testa quello che qualcuno dei 5 Stelle ha gridato contro di me in aula e qualche giorno dopo per strada a Reggio Calabria. La invito a fare una cosa: confrontare le presenze dei senatori in aula tra quel 4 agosto e quello degli anni precedenti, quando si parlava di provvedimenti che erano utili al Paese. Erano tutti schierati. Questo è l’interesse che la politica ha nei confronti del suo Paese. Tecnicamente l’interesse era evitare la reiterazione del reato. Un mese dopo la Cassazione ha sostenuto che non c’erano motivi per arrestarmi. Dal 16 luglio al 4 agosto sarei potuto scappare, invece sono andato in aula e li ho affrontati, perché il mio animo era tranquillo e sereno, ho spiegato le mie ragioni e sono rimasto al mio posto. E poi sono andato a consegnarmi, perché in quel momento ero un senatore della Repubblica e dovevo dimostrare responsabilità verso il Paese. E in quel caso i miei colleghi o chi ha disposto il mio arresto ha mortificato la democrazia in Italia, perché ha mortificato una parte di elettorato. Potevo affrontare il processo da uomo libero. E non ho mai piegato la mia azione politica all’interesse di alcuno. Si aspettava l’assoluzione dopo una richiesta di condanna a 20 anni? La mia innocenza l’ho sempre gridata. Io ho un grande senso dello Stato e credevo fino in fondo alle parole che ho detto quel giorno in Senato. Ma avevo paura. Una paura che mi accompagnava 24 ore al giorno, senza fare distinzione tra giorno e notte. Ho dimenticato cosa volesse dire dormire la notte e ho pensato seriamente di poter essere condannato. D’altronde nella vita ho pensato di tutto, tranne di poter finire in carcere. A quel punto ogni cosa era possibile.