Forse il nodo è la semantica. E quell’espressione: “Ristori”. Che il nome ufficiale del “decreto Sostegni” non riesce a oscurare. Perché definire ristoro il contributo a fondo perduto in arrivo per i professionisti non è ingeneroso: è assurdo. Si tratta di un indennizzo che, nella stragrande maggioranza dei casi, resterà inchiodato sulla quota minima prevista dal provvedimento: 1.000 euro. Al massimo sarà superiore di qualche centinaio di euro. Di fatto, una riedizione dei bonus 2020. Il che di per sé non sarebbe un’offesa. Anche se l’Associazione giovani avvocati, prontissima nel cogliere l’effettiva dimensione del contributo, vi legge anche un filo di provocazione: «Siamo molto delusi. Al di là di tanti giri di parole», ha detto Antonio De Angelis, presidente dell’Aiga, nella nota di sabato scorso, «il contributo è infatti pari al 5% della perdita di fatturato tra il 2019 e il 2020. A buona parte dei liberi professionisti, e in particolare degli avvocati, arriverà un contributo di mille euro, il minimo previsto. Più che il decreto Sostegni questo è il decreto briciole». E l’Aiga, avverte De Angelis, «è pronta a intraprendere forti iniziative di protesta». Certo sarebbe grave se il davvero modesto trasferimento in arrivo (non per tutti gli avvocati) fosse “venduto” dal governo come una tantum da “farsi bastare”. E vale a poco notare che meno di un anno fa, col, decreto Rilancio, le categorie ordinistiche furono escluse dal primo “fondo perduto”, e discriminate così rispetto a tutte le altre partite Iva. Un bonus appena appena meno esile non può certo essere considerato risolutivo rispetto alla crisi causata dal covid.

Agevolazioni fiscali minime, sconto previdenziale appena esteso

Ecco: il nodo è tutto politico. Chi come il centrodestra ha spinto molto già quando era ancora in carica Giuseppe Conte affinché il finanziamento arrivasse anche per avvocati, architetti e ingegneri, non potrà considerare assolta la propria missione. Né potrà bastare la minima attenzione prevista per le partite Iva sul fronte fiscale, vale a dire la possibilità di definire in via agevolata le somme dovute per dichiarazioni irregolari sugli anni d’imposta 2017 e 2018 (consentita sempre se nel 2020 c’è un calo di fatturato del 30% rispetto all’anno precedente). Da valutare forse con maggiore interesse l’incremento del fondo per l’esonero contributivo da 1 a 2,5 miliardi (di cui si riferisce più approfonditamente in altro sevizio, ndr). Secondo la relazione tecnica del Dl Sostegni, in tal modo lo sconto previdenziale dovrebbe riguardare circa 330mila liberi professionisti, vale a dire il 35% degli iscritti agli enti di diritto privato come, nel caso degli avvocati, Cassa forense, i quali nel 2019 abbiano fatto registrare un reddito non superiore a 50mila euro. La soglia è considerata primo requisito per l’accesso alla misura: l’altro è il calo reddituale del 33% rispetto al 2019. Si tratta in ogni caso di toppe. Di rimedi temporanei, in alcuni casi marginalissimi, in altri un po’ più generosi ma non strutturali.

Risorse non sufficienti per il Dl Sostegni? Restituite almeno efficienza e diritti

La morale della favola non può che essere dunque un’altra. Innanzitutto, i professionisti non devono essere discriminati dalle altre partite Iva non solo per una questione di principio ma perché è bene che chi governa dismetta il pregiudizio accecante secondo cui la libera professione consisterebbe in una cerchia di fortunati in grado di cavarsela benissimo da soli. Giusto dunque pretendere che cambi almeno l’atteggiamento, e in questo senso, almeno in questo senso, persino il piccolissimo trasferimento di risorse previsto nel “fondo perduto” è una traccia. Ma alla prima parte del discorso se ne deve aggiungere un’altra. Se l’esperienza dell’ultimo decreto lascia comprendere quanto sia difficile redistribuire risorse, la vera novità deve riguardare altre due prospettive: la leva fiscale e l’organizzazione. Nel caso degli avvocati vuol dire modernizzare le infrastrutture digitali degli uffici giudiziari. Ma anche valorizzare le competenze, ad esempio con un maggior peso alle soluzioni alternative delle controversie e con un nuovo ruolo delle camere arbitrali, magari in modo da smaltire l’arretrato. E ancora, attenzione ai professionisti vuol dire priorità ai diritti: il ddl sullo stato di malattia è ora incagliato a Palazzo Madama perché secondo la Ragioneria dello Stato servono almeno 300 milioni euro per coprire i ritardati introiti che ne deriverebbero per l’erario.

Dalla delusione al chiarimento

Ecco, lì si tratta di attenzione e dignità: con 300 milioni o forse poco più si assicura il diritto a non dover correre in tribunale quando si è in cattive condizioni di salute, a non doversi preoccupare di istruire un collega che ti sostituisca perché si è ricoverati o prossime al parto. Attenzione significa dignità, parità di diritti con le altre categorie di lavoratori, fine del pregiudizio sui privilegiati che se la cavano. Se l’amarezza per quei mille euro previsti nel decreto Sostegni si trasformerà interlocuzione politica, forse la “beffa” non sarà arrivata invano.