Quella che si è presentata oggi di fronte all’Europarlamento di Strasburgo per l’annuale relazione sullo “stato dell’Unione europea” era un presidente della Commissione europea barcollante, consapevole della poca fiducia di cui gode e delle manovre, al momento più velleitarie che concrete, per sostituirla in corsa con la presidente del Parlamento Roberta Metsola oppure, come qualcuno spera, con il solito Mario Draghi.

Presidente debole di per sé e per la condizione nella quale è costretta ad agire: prigioniera di fatto dei leader dei singoli Stati che, con pochissime eccezioni, sono altrettanto deboli, instabili e traballanti. In questo quadro ben poco sorridente Ursula von der Leyen ha giocato la carta più pesante, quella che spera garantisca di più il ritorno dell’Europa a una compattezza e a una determinazione mai state così distanti dalla realtà.

Quello della presidente von der Leyen è stato un discorso da minacciosa vigilia di una possibile guerra e probabilmente testo e toni sono stati rivisti e ulteriormente accentuati dopo l’incidente grave in Polonia. Ursula ha esordito con un allarme rosso: «L’Europa è in lotta» ma la parola adoperata, “Fight”, è più pesante della sua traduzione italiana: rinvia al combattimento. Un combattimento «per la nostra libertà» e «per il nostro futuro» nel quadro di «un mondo spietato» nel quale «non ci sono più spazio e tempo per la nostalgia» perché «le strategie di battaglia per un nuovo ordine mondiale basato sul potere vengono tracciate ora. Quindi l’Europa deve combattere».

È una lingua molto diversa da quella usata dalla Ue nella sua storia. La stessa presidente ne è consapevole e lo ammette apertamente. È il linguaggio che si adopera in «un mondo in cui molte grandi potenze sono ambivalenti o apertamente ostili, un mondo di ambizioni imperiali e guerre imperiali». In questo nuovo e tutt’altro che meraviglioso mondo l’Europa deve essere unita, pronta a spendere e a spendere molto, perché «l’economia di guerra russa non si fermerà anche se la guerra dovesse finire», perché il fronte orientale resterà sempre esposto e a rischio e bisogna proteggerlo con «un muro antidroni».

La presidente con l’elmetto fa leva sull’orgoglio, «L’Europa ha lo stomaco per questa lotta», come sui sentimenti. Porta con sé alcuni dei bambini ucraini rapiti dai russi, ne racconta la storia drammatica, parla esagerando un po’ e forse molto di «decine di migliaia di bambini rapiti».

Anche su Gaza von der Leyen alza i toni: «Quello che sta succedendo è inaccettabile e l’Europa deve guidare la strada» e la Commissione farà da sola che quel che facoltà di fare: «Metteremo in pausa il sostegno bilaterale a Israele. Fermeremo tutti i pagamenti senza influenzare il nostro lavoro con la società civile israeliana. Proporremo sanzioni contro i ministri estremisti e i coloni violenti e una sospensione parziale dell’Accordo sulle questioni commerciali». Sempre che ci sia una maggioranza disposta ad approvare le sanzioni e Ursula «è consapevole che sarà difficile». Tra i banchi della sinistra qualcuno approva, «meglio tardi che mai», ma per la maggioranza è «troppo tardi e troppo poco», come commenta concisa Lucia Annunziata.

Per il resto, von der Leyen promette qualcosa a tutti: la competitività, il Green Deal, la lotta alla povertà e quella all’immigrazione. Un elenco esaustivo ma vacuo, che non convince e non soddisfa nessuno perché glissa sui nodi che hanno sin qui impedito e impediscono di procedere sulla strada indicata infinite volte e resta vaga e guardinga sul nodo dei rapporti con Trump, pur ammettendo che «non sono state facili da digerire le immagini dall’Alaska», il tappeto rosso steso per Putin.

La capogruppo socialista Garcia Perez è perentoria: «Presidente, il suo peggior nemico è Manfred Weber: è responsabile del fatto che l’alleanza pro Europa non funziona». Weber, leader del Ppe, il partito di Ursula e del resto la parlamentare che Metsola deve riprendere per la furia degli strilli contro la presidente siede appunto nei banchi della Cdu, cioè del Ppe.

Ma il listone degli impegni e delle promesse steso per soddisfare un po’ tutti è in fondo solo repertorio. La sola leva su cui punta la presidente della Commissione per compattare l’Unione e rinsaldare la sua oggi debolissima presa sono i preparativi, che tutti si augurano inutili, per la guerra. Se ci si ricordano i presupposti sui quali era stata fondata l’Unione, il farla finita con i rischi di guerra, non è un cambiamento di poco conto.