Nessun segretario del Pd ha mai preso il largo con gli occhi puntati addosso e le dita sul grilletto come Elly Schlein. Per la prima volta gli elettori hanno rovesciato il verdetto dei circoli, che un tempo si chiamavano sezioni. È un fatto clamoroso come pochi e implica responsabilità pesanti: quegli elettori si aspettano una svolta. La prima donna alla guida del Pd arriva al vertice come un outsider, addirittura fresca di recentissimo tesseramento. Anche questo è un dato non irrilevante, per quanto la neosegretaria comunque dall'universo Pd provenga, che desta comprensibili interrogativi in quelle strutture nazionali e soprattutto europee abituate a considerare il Pd il baluardo della stabilità: si aspettano continuità assoluta.

Elly si è affermata a sorpresa sventolando la bandiera di un rinnovamento radicale, nella linea politica e nella struttura del partito. Chi la ha votata la attende alla prova e nessun elettorato è occhiuto e facile alle delusioni come quello di sinistra. Ma a sostenerla sono state la correnti, i capibastone storici, che tutto vogliono tranne una trasformazione del partito che pagherebbero loro per primi.

I 5S nascondono a malapena un certo timore: la nuova segretaria promette di giocare al loro stesso gioco ma se così fosse buona parte di un partito che il voto rivela in realtà diviso quasi a metà non accetterebbe il nuovo corso. Renzi neppure prova a mascherare l'auspicio che le cose vadano proprio così e che in un giorno non lontano gli scontenti arrivino a ingrossare i suoi magri ranghi.In partenza la nuova segretaria potrà giocare sul sicuro trincerandosi dietro il repertorio: diritti civili, svolta a U sull'immigrazione, salario minimo, con in più un'accentuazione del ruolo delle donne che però non si può tacciare di essere repertorio. Sono temi spinosi quando si è al governo, tutta discesa invece se li si brandisce dall'opposizione, senza possibilità decisionali. La nuova segretaria martellerà su quei punti, però servirà a poco e per poco. Non sono quelli i banchi di prova sui quali è attesa. Quelli sono di ben altra portata e si riducono in fondo a tre voci essenziali: la guerra, il rigore, le alleanze.

Il Pd non è stato sinora solo un partito atlantista ma, con FdI, il partito dei falchi atlantisti. Una parte congrua dell'elettorato di Elly vuole e attende un cambiamento. Nulla di troppo drastico. L'ipotesi di un Pd su posizioni alla Conte o contrario all'invio delle armi è del tutto irrealistica. Probabilmente basterebbero segnali molto più contenuti: una maggiore insistenza sulla ricerca di una soluzione diplomatica, contrarietà, o almeno dubbi espliciti sull'invio delle armi dette “offensiva”, aerei e razzi a lunga gittata. Posizioni che in Europa hanno pieno diritto di cittadinanza ma che, partendo dalla posizione estrema assunta da Letta, suonerebbero come un avvio di retromarcia e verrebbero prese molto male nella Nato ma senza le quali la delusione per gli elettori sarebbe bruciante.

In campagna elettorale la candidata “di sinistra” ha martellato sulla giustizia sociale stando però ben attenta a non scalfire mai il credo rigorista e sullo stesso Rdc è stata in realtà molto prudente. Ma nel quadro tempestoso che Italia, Europa e Mondo stanno attraversando coniugare la richiesta di politiche a favore delle fasce più povere e sostegno al rigore non sarà possibile ma ogni slittamento dal rigorismo adottato dal Pd come credo provocherebbe smottamenti interni di rilievo. Sulla guerra e sul rigore si misurerà la capacità, forse addirittura la possibilità, di non deludere l'elettorato innovatore e difendere l'unità del partito. Nulla però mette quell'unità tanto a rischio quanto le alleanze. È facile prevedere che la Schlein si trincererà dietro la non scelta, sia invocando l'obbligo “ulivista” di tenere tutti insieme sia rinviando sino a quando le nuove elezioni saranno alle porte. Saranno però i possibili alleati tra loro rivali a incalzarla cercando di obbligarla a prendere posizione su ogni singolo capitolo dell'agenda di turno perché se una cosa i 5S e il Terzo Polo hanno in comune è proprio l'interesse nel non permettere al Pd di difendere una posizione incerta e ambigua.

Non è un cammino facile quello che Elly Schlein ha davanti e probabilmente lei stessa sa che le europee, tra poco più di un anno, saranno per il Pd soprattutto un voto e una sentenza sulla sua inattesa e imprevista leadership.