La tempesta generata dalle parole di Giuliano Amato sulla strage di Ustica non accenna a passare. Neanche dopo il passo indietro dell’ex presidente del Consiglio, che oggi è tornato sulle dichiarazioni affidate a Repubblica in un’intervista di sabato scorso.

«Io ho solo rimesso sul tavolo un'ipotesi già fortemente ritenuta credibile, non perché avessi nuovi elementi, ma per sollecitare chi li ha a parlare, a dire la verità», ha spiegato il presidente emerito della Consulta a un altro quotidiano, La Verità, che gli aveva posto alcune domande in merito. «Volevo riportare il tema all'attenzione, sollecitare chi potrebbe convalidare quell'ipotesi a parlare - ha chiarito ancora l’ex premier –. Gli anni passano, le famiglie sono lì, convinte che la verità non sia ancora venuta fuori e i testimoni rimasti possono andarsene presto. Come può capitare a me, data la mia età».

Dunque «nulla di nuovo»: ciò che Amato ha raccontato è solo un’ipotesi. Ma tanto è bastato, data l’autorevolezza di chi l’ha avanzata, a sollevare un polverone. Se non una vera e propria crisi diplomatica tra Italia e Francia, perché alla base della ricostruzione rilanciata dal “Dottor Sottile” c’è la responsabilità dell’Eliseo: ovvero il presunto tentativo dell’aviazione francese di abbattere un aereo su cui viaggiava l’allora leader libico Gheddafi. Secondo questa tesi, il Dc9 dell’Itavia abbattuto il 27 giugno del 1980 con 81 passeggeri a bordo si sarebbe trovato nel mezzo di una battaglia aerea orchestrata ad arte da Francia e Stati Uniti. E ad avvisare Gheddafi sarebbe stato - secondo le dichiarazioni di Amato - Bettino Craxi, che al momento della strage non aveva ruoli di governo. Una versione questa subito smentita dai figli del leader socialista, per i quali si tratta di uno «strafalcione storico». «Mio padre avvertì Gheddafi che lo avrebbero bombardato. Ma nel 1986», ha sottolineato Bobo Craxi. «Se Amato ha elementi concreti che possano aiutare la verità e rendere giustizia alle vittime innocenti di Ustica, è pregato di renderli manifesti. In caso contrario, la sua è solo un testimonianza che aggiunge confusione a un quadro già complesso», è quindi l’invito di Stefania Craxi. Ma anche della premier Giorgia Meloni, che per prima ha sollecitato l’ex premier a fornire «elementi che permettano di tornare sulle conclusioni della magistratura e del Parlamento».

«Purtroppo non ricordo chi mi disse che era stato Craxi a informare Gheddafi anche se il ricordo è rimasto - è la replica di Amato alle obiezioni poste dai figli del leader socialista -. Onestamente non riesco a dire se la confusione l'ho fatta io o se l'ha fatta chi mi parlò di Craxi come informatore di Gheddafi». Un passo indietro che ha indignato parte del mondo politico, e in particolare i parlamentari di Forza Italia. «Chi sa si rivolga alla magistratura, non si può fare giustizia in base ad una intervista, sia pure da parte di un uomo che ha avuto incarichi di grande responsabilità», ha sottolineato il leader azzurro Antonio Tajani. «Tocca ai magistrati accertare la verità - ha aggiunto -. Se il presidente Amato ha da dare nuove informazioni sulla vicenda vada dai magistrati, racconti la sua versione e dica tutto ciò che sa».

Critiche sono arrivate anche da Margherita Boniver, già vice ministro degli Esteri ed esponente socialista, che bolla l’intervista di Amato come «scandalosa». Ma anche da Carlo Calenda e Matteo Renzi, che nel 2014 fece desecretare i documenti sul caso. «Mi sarei aspettato una sensibilità umana e un rispetto istituzionale che non ho scorto nelle sue parole», ha commentato il leader di Italia Viva. Mentre da parte della magistratura arriva l’impegno del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, il quale ha annunciato che valuterà «l’opportunità di avanzare alla Procura della Repubblica di Marsala la richiesta di rendere accessibili tutti gli atti del procedimento di potenziale interesse di quell’inchiesta e il compendio documentale delle iniziative portate avanti dal dottor Borsellino all’epoca».