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Quando il (neo) presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, esce da palazzo Chigi dopo l’incontro con il presidente del Consiglio, Mario Draghi, il caos è già scoppiato. Dove per “caos” s’intende la richiesta di voto da parte di M5S e Leu sull’ordine del giorno di Fratelli d’Italia che impegna il governo a rispettare l’accordo sull’aumento delle spese militari fino al 2 per cento del Pil, accolto senza riformulazione dal governo. Una mossa, quella dell’esecutivo, definita «inaccettabile» dai grillini. Ma andiamo con ordine. Dopo il faccia a faccia con l’ex presidente della Bce il leader M5S ha spiegato che «il Movimento non è contrario a sviluppare il pilastro della difesa comune europea, ma va fatto in un quadro meditato e ponderato» e che questa «è una strategia complicata che non si può realizzare nel giro di qualche mese». Dunque, «ragionevolmente», l’aumento delle spese militari «non ci sarà » nel Def. L’ex avvocato del popolo è poi tornato sulla bagarre in commissione al Senato, sottolineando che «i nostri senatori hanno chiesto di votare l’odg con l’intenzione di respingerlo ma non è stato possibile» ma ribadendo di non mettere in discussione gli accordi Nato del 2014. «E non voglio nemmeno che Draghi lo faccia», ha concluso. Nel pomeriggio, la volontà di M5S e Leu di arrivare a una resa dei conti in maggioranza attraverso il voto aveva scatenato «una baraonda», a detta del capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Luca Ciriani, durante la riunione delle commissioni congiunte Esteri e Difesa di palazzo Madama. Tanto che lo stesso Ciriani si è detto «curioso» di sapere come si comporteranno i due partiti al momento del voto di fiducia sul decreto Ucraina (il cui testo a questo punto contiene anche l’odg di Fd’I), previsto nelle prossime ore. Poco prima era stato Conte a dire che «il decreto Ucraina non c’entra nulla con la corsa al riarmo e per questo il Movimento lo voterà in Senato, con o senza fiducia», ma sul tema pesa anche la distanza tra dem e grillini. «Noi comprendiamo l’esigenza dei partiti di marcare alcuni punti ma questo non può essere fatto mettendo in difficoltà il governo», ha ragionato infatti il senatore dem Alessandro Alfieri, al quale ha risposto Conte dicendo che «dispiace che sul tema delle spese militari non ci troviamo sulla stessa posizione». Ma l’ex presidente del Consiglio ha poi lanciato anche un aut aut sul futuro dell’alleanza riguardo a diversi temi, come il salario minimo. «Se il Pd sarà al nostro fianco ci farà molto piacere - ha scandito - altrimenti ne prenderemo atto». Domani in Senato, un altro round. «Il governo intende rispettare e ribadire con decisione gli impegni NATO sull’aumento delle spese militari al 2% del Pil», avrebbe detto Draghi, che dopo l’incontro con Conte si sarebbe recato al Quirinale per aggiornare il Capo dello Stato, Sergio Mattarella. «Non possono essere messi in discussione gli impegni assunti, in un momento così delicato alle porte dell’Europa. Se ciò avvenisse verrebbe meno il patto che tiene in piedi la maggioranza», è il commento che filtra da Palazzo Chigi. I piani concordati nel 2014, e seguiti dai vari governi che si sono succeduti, prevedono entro il 2024 un continuo progressivo aumento degli investimenti. Il bilancio della Difesa nel 2018 era sostanzialmente uguale al2008. Nel 2018 si registravano circa 21 mld, nel 2021 24,6miliardi (un aumento del 17 per cento): questi sono i dati del Ministero della difesa nei governi Conte. Tra il 2021 e il 2022 il bilancio della difesa sale invece a 26miliardi: un aumento del 5,6 per cento.